Due cubetti di ghiaccio

Da questa settimana fino al limitare delle sue forze la voce della Pampa disporrà di una rubrica fissa nella quale con ironia ed un po’ di pepe commenterà le prestazioni sportive delle compagini varesine. Il titolo nasce dalla fervida fantasia del gaucho che, al calar della sera, è solito metter del ghiaccio in un bicchiere e gustarsi un tonico ed analizzare con sagacia le prestazioni sportive delle squadre prealpine. Il nome potrebbe far pensare ad articoli di facile lettura, in realtà il ghiaccio sciogliendosi nel tonico e cambiando lo stato , diventa di difficile separazione visiva rispetto alla sostanza iniziale…..

martedì 7 dicembre 2010

Ossigeno in vetta

Giovani i ragazzi biancorossi, che dopo la doppia trasferta ambiscono a farsi ammirare dal pubblico che li può seguire anche attraverso la televisione, merito della modifica del sistema calcio rispetto a quando si doveva andare a Masnago per assaggiare goals e freddo. La nevicata della settimana ha salvato nonostante tutto il terreno, che si presenta verdissimo come le linee reggine, davanti in classifica e con una gara in meno.
Il mister Atzori sta lavorando bene nella punta dello Stivale e si affida alla vecchia volpe Bonazzoli per assestare colpi agli avversari. Ma la fortuna vuole che il bomber oggi sia assente perché la visita alle infermerie è tuttora motivo che lo tiene lontano dalle arene. Inoltre le assenze sono anche altre e in Missiroli sono le speranze riposte per il colpaccio esterno; la ruota di Varese è molto ambita, un campo sul quale anche i grossi nomi hanno lasciato le speranze.
I biancorossi attaccano con il sole che li bacia e li ostacola nella caccia all’Ottobre rosso reggino, schieratosi sotto coperta e posizionante mine disseminate qua e là per ostacolare i lanci di Zecchin o le percussioni di Carrozza, discepolo del dribbling sempre e ovunque e capace di esaltare le folle giunte a Masnago.
Prima occasione per l’imberbe Cellini, volenteroso nelle intenzioni e rapace nei pressi dell’area, come il suo curriculum dimostra e sottrae a Carrozza accorrente la sfera giusta. Il cielo anche stavolta accoglie con il pallone gli improperi popolari in un refrain troppo noto. Pochi minuti ancora e la scena è una tragicommedia, su un tiro da lontano di Zecchin non trattenuto, il povero Cellini arriva troppo presto per timbrare e la sfera lo irride passandogli dietro.
Così dal loggione la simpatia per il personaggio ritorna, secondo lo stile più classico della commedia all’italiana e la macchietta si completa con l’infortunio del Marco e il saluto al palco Reale, per lasciare al ritorno della perla nera Ebagua, più adatto ai corpulenti difensori calabresi.
Inizia una sinfonia più vivace, il direttore d’orchestra Sannino si alza alla Von Karajan e scopre la testa lucida, nell’aspetto e internamente, i ragazzi han bisogno di pochi consigli ma decisi. Così Ebagua decide di disputare la partita in armonia sinfonica come primo strumento, la prima occasione è una prova di accordo per poter calciare poi a occhi chiusi dopo aver raccolto il regalo ospite e battere duramente Puggioni, facendo scattare in piedi palco e loggione.
Solo musica classica sullo spartito varesino, il calcio è fatto di azioni semplici e ragionate e il brio da vigore al gioco senza trasformarlo in rugby o scacchi. Per questo che i cambi servono a rifiatare, nel rispetto delle persone e mai a scopo punitivo. Carrozza, sempre largo sulla fascia, aspetta il tram chiamato pallone per agganciarsi e partire in solitaria, direzione la porta avversaria. I suoi compagni lo seguono e Neto ed Ebagua, nel gioco delle alternanze, aspettano inviti golosi per marcare la segnatura.
Un palo nascondino toglie la gioia al rapido Carrozza, cosa rimasta occulta al pubblico fino alla trasmissione televisiva e sul rimbalzo Zecchin trasforma il calcio piazzato meglio del più famoso Dominguez, pedatore del più nobile rugby.
Si rimane così, immobili fino alla fine e i quattro minuti più lunghi della storia ci portano ai piedi del podio, di fronte al maestro Sannino. Per ora siamo a dieci….

mercoledì 1 dicembre 2010

Uscire a pranzo nel bosco

Se nella curva si aprono le danze e i cori dopo alcuni minuti, il sentimento della fame ha avuto la sua rivincita. Bologna, squadra in difficoltà causa gli infortuni pesanti, soffre sotto canestro fin dall’inizio come volevasi dimostrare. Tesi supportata dalla scarsa vena degli esterni, presi nella centrifuga della difesa varesina e finiscono per trovare pochi punti sul proprio tabellone. Amoroso, italiano di valore per questa categoria, trova lasciapassare in ogni buco grazie alla gentilezza di Slay e Fajardo, intenti più alla fase offensiva e il punteggio cresce rapidamente, portando ottimismo nelle bisacce biancorosse.
L’Estonia è una piccola repubblica ex – sovietica e i loro abitanti si sono sempre difesi con timidezza dalle mani rosse dell’URSS; Kangur pare portarne nel petto l’orgoglio risollevato, ma senza troppo coraggio, quasi a non far voler fare alzare la voce degli avversari, così la panchina diventa per lui parco naturale dove riflettere lasciando il prato legnoso all’altro figliol prodigo Righetti, vero Caino della giornata e memore dei trascorsi olimpici.
Così pare più bello assistere alle difese ballerine nei movimenti, di cui Lardo è vero interprete, sempre alla ricerca di chiusure rapide e di cambiamenti repentini, costringendo i suoi a macchiarsi di sudore per rincorrere le bocche da fuoco come fossero pompieri.
E l’incendio lo provoca Goss, folletto fra le maglie virtussine, il cui agonismo esalta i nostri tiratori che aspettano oltre la linea il pallone per centrare il bersaglio. Bacche preziose raccoglie il frate Poeta, che mostra una chierica frutto delle sofferenze per la scarsa considerazione di Recalcati ai tempi della nazionale e il play si erge a paladino dell’italianità nella multietnica Bologna per salvarne l’orgoglio italico.
La pausa determina un divario accettabile per tornarsene al fresco della selva, al riparo dalle gragnole di tiri selvaggi, scagliati più per la mancanza di fantasia che per scelta tecnica. E sugli spalti si assiste alla leggera nevicata che pare addolcire la pausa, quasi noiosa poiché la tensione scansa Masnago in questa domenica. La tensione è risvegliata dai tifosi ospiti, giunti solo ora alle pendici delle Prealpi e ne assorbiscono il calore i virtussini che piazzando un bel parziale, si riportano in parità nel silenzio del palazzo.
Ecco allora il fantasma di John Naismith aleggiare nell’aria e si incarna nel prodigo Righetti, il quale ricordandosi del padre pugile, prende a suonarle ai suoi ex con ardore e intelligenza, sedendosi a consumare la più tremenda delle vendette. Lui, che padron Sabatini accusava di essere un ghost acchiappato, prende a ceffoni la retina come un punching ball e con sé trascina l’omone Slay, mettendo la partita sui canali di un match di boxe.
I loro compagni a turno lanciano gli asciugamani tradotti in recuperi, assists o stoppate e si annebbiano le idee bolognesi, presi per mano dal figlio dei boschi Koponen, inorgoglito dal trovarsi face to face con il più adulto Ranniko. Qualche palleggio di troppo del bimbo finnico in maglia nera lascia la partita ai biancorossi e solo un Goss ancora assonnato non ci permette di levare le braccia al cielo con anticipo.
Il verdetto è ancora più amaro con le Vu – nere, il suo possibile aiutante Righetti le trafigge dalla linea del peccato e chiude in faccia la porta a Lardo e ai suoi, il passato è un macigno per chi non lo capisce.

martedì 23 novembre 2010

Il peso del ritorno del passato

Giornate che durante la storia personale giungono prima nella mente e poi si concretizzano nei fatti, episodi negativi che segnano una tappa e non necessariamente da cancellare per la loro bruttezza ma possibile esempio per ricordare come non si deve fare. Si arriva nella campagna padana per dimenticare giornate sfortunate e perdenti con un ruolino di marcia sull’andante con brio e si crede di passare con il trattore per arare, dall’alto del prestigio e dei nomi che Varese può sistemare sui ventotto metri legnosi.
Dal sogno nebuloso e terreo ci si sveglia a furia di schiaffoni formato triple e passaggi a vuoto, persi sul fondo del Pala Radi e destinati ai fotografi, come flash descrittivi della mente vuota.
Il Padre Recalcati non gradisce schiaffeggiare i pargoli cresciuti e ne cerca il lato maturo, oggi lasciato sul pullman e chi vi racconta mostra sempre fiducia nell’arrivo di una sveglia che invece ha rotto la campanella tintinnante.
I cremonesi appaiono lucidi e spietati, abili a cercarsi la fortuna e il cavallo di Troia Milic non serve per sfondare la porta d’ingresso, sono gli ateniesi Rowland e Sukolic a bucare la retina e il parziale del primo quarto (26 – 7) chiude dietro di sé speranze di espugnare un campo arido di gioie per i varesini. Le passeggiate vanoliane nelle praterie difensive sono lunghe e distensive, servono a esaltare il pubblico grigio azzurro che assiste a una sfida impari con loro somma gioia.
La curva biancorossa, indefessa nell’appoggiare le casacche amiche, vede il fortino assediato dagli indiani e confida nel fatto che il generale Recalcati possa dissotterrare armi nascoste alla vigilia perché nei suoi soldati soliti non vede la luce possibile della rimonta, come finora è avvenuto.
L’ingresso del nemico Cotani è salutato con una selva di fischi e d’insulti, stimolanti per il guerriero di Ostia, più simile ancora a un bagnino della riviera modello anni ’50. Topolino Goss muore spesso con la palla fra le manie le sue entrate sono flebili colpi sulla porta torrazziana, rimbalzati dalla durezza del legno. Nella tundra il finnico Ranniko perde le tracce dei suoi compagni, nascosti dietro gli abeti per giocare in nonchalance a chi meno si batte, cerca le mani a cui indirizzare palloni sui quali Teemu preferisce astenersi dal prendersi responsabilità.
Dall’altra parte i cremonesi improvvisano una gara delle schiacciate su contropiedi senza opposizione, esaltando la folla amica e Varese non mostra reazione, apparendo ancora al pasto pre – partita e se all’intervallo si chiede quando inizia la partita, è perché l’allegoria è evidente nelle canotte biancorosse scese sul parquet.
La lontananza della Dea Atena porta Nike nelle braccia dei torroncini, punti vitali a costruire la permanenza sul fiume della felicità e la barca di coach Mahoric può scivolare sull’acqua in questa giornata evitando l’alluvione che la classifica varesina avrebbe fatto predire prima di questo pomeriggio.
Aria di corrida dove il pollo viene braccato e superare i cento punti diventa obiettivo negli ultimi minuti che ci separano dalla sofferenza portata a conclusione, per una giornata che rimarrà negli incubi notturni della storia del basket varesino.

lunedì 22 novembre 2010

Sugli irti colli

Si rivede l’Ascoli e le sue colline splendide, portatrici di serenità e leggere brezza che consigliano spesso di sedersi a tavola per passare pomeriggi distensivi, esattamente quello che vorrebbe trascorrere la compagine biancorossa in casa di una formazione che, come i russi, una volta chiusi nella sacca di Stalingrado, seppero trovare le energie per risollevarsi e salvare un’intera nazione, così i bianconeri sono impegnati a continuare la risalita nella classifica dopo la mazzata della penalizzazione.
Castori chiede orgoglio ai suoi ragazzi, fra i quali manca in partenza l’ex – astro nascente Lupoli, tenuto in caldo per essere sfornato sul campo pesante quando le menti saranno annebbiate e le gambe appesantite. Mister Sannino vuole invece continuità e una prova di maturità, perché l’alta classifica può provocare momenti di asfissia, causa l’aria rarefatta.
E così dopo pochi minuti l’azzoppamento di Ben Hur Osuj provoca uno sfasamento dei piani tattici: Corti si alza come ricambio originale e Sannino lo avvita nella medesima posizione per non rompere il meccanismo. Ciò che conta sono i tre cavalieri davanti a tutti, sempre in sella grazie alla sintonia nascente dalle giornate trascorse assieme a cavalcare e procurare dolori ai difensori ospiti.
Si cade nel tranello di ingollarsi i marchigiani come succulente olive ascolane, sicuri poiché proprietari d’idee di gioco fantasiose per la categoria. Palla fra i piedi dei varesini, con trame mosce a centrocampo dove il fosforo si accende come un fiammifero in una serata ventosa e poi, coperto il cerino, s’infiamma il gioco sulle fasce grazie alle opere di Zecchin, primo flautista nell’orchestra sanniniana. Il piccolo Cellini appare un oboe turato al quale il pallone è disturbo per la sonata e Neto, violoncello per motivi ispirati a un tango devastante, sembra oggi più adatto a un triste fado, eseguito per lamenti e lacrime salate.
Dall’ultima fila del palco esce ancora la zanzara Tripoli, maracas agitate da polsi nervosi e il pallone scagliato verso la gabbia ospite è intercettato nel corso dell’azione più eclatante della contesa dal portiere in posa poco tecnica. Si va alla pausa dove gli strumenti rifiatano nell’attesa del tenore Neto, oggi uomo normale e non all’altezza del palcoscenico scaligero.
Sannino ritiene che non sia il caso di scuoterne ulteriormente le fila, facendo prevalere l’armonia e così ci si emoziona per lo stop dato dall’arbitro che, bontà per noi, ferma l’Ascoli nel corso di un rapido contropiede, frapponendosi nella manovra e bloccando la sfera, fino a lì più biancorossa che mai. A Zappino resta il piacere di suonare il triangolo con le sue mani poco galanti con i padroni di casa e benedette sotto il Sacro Monte; Zecchin da il là e altre note con i lanci per la zucca di Tripoli, opera non sua visto il risultato finale e la nota stonata rimane sui piedi di Cellini, incapace di smentirsi e sul cui tiro a lato, purtroppo si spegne la sonata in minore di un Varese che sembra opera inconclusa poiché il suo direttore d’orchestra aspetta di innervare con un pizzico d’improvvisazione una compagine che ci farà godere nei prossimi mesi.

sabato 20 novembre 2010

La mano sull'interruttore

L’amore per questa squadra sta trovando il suo Cupido, che con i dardi colpisce i cuori dei tifosi, un po’ meno i loro portafogli visti i larghi vuoti sugli spalti, e si spegne la luce per i brindisini ritornati dopo un Ventennio (non quello nero) a calcare il miglior palcoscenico auspicabile. La corrente è alternata per i varesini nei primi minuti; si sale sull’ottovolante delle conclusioni da tre, finora toccasana decisivo per gli uomini di Recalcati nelle loro vittorie in rimonta.
I nostri palloni si appoggiano al ferro languidamente e Lang sembra un pivot fenomenale, una torre d’avorio nella Babele dell’area colorata. Chiudere sotto il primo quarto preoccupa più il pubblico che non il motore diesel di certi giocatori d’annata, avvezzi a riscaldarsi con l’avanzamento del cronometro.
Thomas prende a forare la retina avversaria con Kangur che sembra camminare sulle uova causa i dolori recenti e Slay inizia il suo lavoro da giardiniere di piante di alto fusto, sradicando palloni con energia e aggiungi la zona a effetto ritardato nella quale le maglie bianche arrivano con un benefico ritardo per lo score casalingo; le bandiere biancorosse sventolano nell’aria calda dell’oasi di Masnago e gli americani di Brindisi preferiscono abbeverarsi alla fonte parcheggiando i loro cammelli: Diawara, uomo del passato in NBA, appare trapassato dalla presenza di Kangur che lo lascia ai margini del gioco mentre l’ex trevigiano Dixon ci ricorda il triste messicano al momento di svegliarsi dalla siesta.
Si rivede Cotani, novello Enrico Toti che abbandona le stampelle per calcare il terreno e lasciare un marchio indelebile con un appoggio errato che ci fa rizzare i capelli.
L’arrivo a metà del cammino non ci rincuora, sembra che anche stasera il fiatone salirà dal basso ventre per ingolfare arterie e cuore e lasciarci basiti di fronte agli ultimi secondi di gioco. Ma stavolta i contendenti hanno titoli decisamente inferiori e appena la Dea Bendata fa calare la sua attenzione verso le percentuali di realizzazione, Varese stringe i cordoni della borsa nulla entra, neppure uno spillo mentre il buon Thomas imperterrito fa scintillare la retina sotto la Gradinata Sud.
Si crea un divario, muro difficile da scalare per le residue forza pugliesi con una panchina corta come la saggezza in un sanatorio e si punta a un finale leggero per Varese, evento raro da queste parti dagli anni post – Magnano. Le profezie del Pampa sembrano irreali e procurate dall’euforia anestetizzante, ma la partita è finita e andate in pace, gi americani di Brindisi si guardano in faccia e puntano al loro tabellino, egoisti causa la povertà della squadra.
Recalcati può rilassare e distendere le briglia, l’età avanzata dei suoi ed i malanni settimanali rallentano l’andatura in maniera intelligente. Si parcheggiano le emozioni e si estraggono colpi di classe e azioni innovative, giochi a due e passaggi in rapidità come il volo delle rondini a primavera.
Gloria anche per Mian e Antonelli negli ultimi istanti, ma più per gli applausi a Speedy Gonzales Goss, ispirato come in una notte di luna piena e la notte cala per Brindisi, lunga e senza possibilità di vederne la fine.
Varese è in gloria, sugli scudi i suoi gladiatori, uomini e magliette sono una cosa unica.

giovedì 18 novembre 2010

Volere Volare

Giove s’incupisce ma ci risparmia fredda acqua, lasciando il Permaflex di Masnago morbido per le scorribande sulle corsie laterali dei baldi varesini, mossi da bimotori leggeri come Zecchin e Tripoli mentre alle loro spalle i trattori armati Pisano e Pugliese, la P2 preferita dal Pampa, si muove nel sottobosco difensivo, avanzando con la massima potenza appena arriva il segnale del capopattuglia Sannino. Dopo la trasferta maremmana in cui lo Zappino Furioso ha mostrato gli artigli per non farsi azzannare dal cinghiale grossetano, lasciando in mano ai toscani solo il pelo ispido dello scalpo mancato, il Varese vuole rompere la rete piastrellata del Sassuolo, posando punti pesanti sul manto della classifica e riprendendo il rapporto di parità con il suo amato pubblico.
La gente arriva temeraria sugli spalti, forse timorosa di aver sprecato un pomeriggio poiché gli ultimi saranno i primi e gli emiliani di mollare il piatto di lenticchie non ne hanno davvero voglia.
Ancora una volta si punta a imbrigliare la trama sulle fasce poiché Neto al centro appena sente la fisicità altrui appoggiarsi al suo dorso, teme di perdere la saldezza dei nervi e nulla di più comodo è per lui appoggiarsi sull’erba per rilassarsi comodamente. Cellini al tempo stesso si perde da solo come Pollicino e le molliche di pane gli servono per trovare la via della porta, smarrita come la fede per un ateo.
Santo Sannino gliela indica a gran voce, chiedendo ai discepoli di tracciargli la strada retta, persa dal giovane Marco dall’inizio dell’anno. La fiducia del pubblico di Masnago è incrollabile e per lui i cori sono invocanti una preghiera, sperando nell’Amen quotidiano che lo possa assolvere.
Di testa in tuffo Cellini la prende e ovviamente la indirizza fra le braccia di Bressan, portiere di serie, ma il fischio arbitrale aveva fermato il gioco.
La temperatura giusta e poi l’umidità fa balzare la zanzara Tripoli, sempre pungente e ripresasi dopo essersi assopita nell’ultima settimana; inoltre l’aiuto arriva dalla difesa ospite che gli regala un pallone con il quale destreggiarsi sul limite dell’area destra e sul traversone filante il nove biancorosso nella più classica delle estirada duplica il suo bottino annuale per la sollevazione dei tifosi di casa.
Ora inizia lo spettacolo come se la puntura avesse colpito più i propri compagni di squadra, offesi dal fatto che il più piccolo di loro sia stato ispiratore del divertimento.
Da notare che l’altro insetto varesino Zecchin, ripresosi la camiseta da titolare, ispira con i suoi goniometrici lanci le punte e così è nella seconda frazione, nella quale dopo una triangolazione con Cellini, Tripoli affetta la difesa ospite varcando il cancello in un paio di occasioni; la prima conclusione vede le stelle, la seconda fa vedere i sorci verdi (come la maglia) al Sassuolo perché il 77 infila Bressan e con esso compare nella classifica marcatori, gioia meritata per la guizzante ala.
Allora incomincia una battaglia con la porta ospite, tutti all’arrembaggio per non essere da meno (negli errori – orrori), a chi la spara più alta (Cellini) o a chi fa cilecca (Neto); così si tiene in vita un Sassuolo moribondo che si risveglia dalla fossa comune con una traversa sonante e sulla prima dormita difensiva infila dopo ben sei partite Zappino.
Questo evento aiuta la farmacia vicina allo stadio, cardiotonici per tutti per superare la tensione improvvisa, ma anche stavolta i giovani varesini fanno calare il sipario da protagonisti vincenti e si sale sempre di più…..

martedì 9 novembre 2010

Un Muro scivoloso

Grinta e determinazione vorrebbe la regola del non c’è due senza tre e completare le sfide del triveneto con un bel successo è ciò che si aspettano alle 15.00 i tifosi giunti non numerosi per un importante testa – coda. Quando sale l’orgoglio e si fa superbia, diventa normale bofonchiare nel momento in cui non si raggiunge la porta avversaria in pochi passaggi. I veneti sono ben schierati e nonostante la storia del luogo che porta in dote il catenaccio del Paron Rocco, non alzano la linea Maginot davanti a Villanova e lasciano le trame fino ai venti metri, quando la luce degli esterni varesini si spegne, lasciando Neto e Cellini senza il rifornimento adeguato.
Le formiche del centrocampo non sembrano essere in grado di portare cibo sufficiente all’ape regina Neto, capace di trasformare qualunque cosa in nettare dolcissimo per il palato varesino. Il lavoro là in mezzo si fa arduo, passare fra le gambe numerose padovane, un lombrico enorme che si distende per tutta la larghezza del terreno: la zanzara non trova modo di urtare la sua pelle e viene agilmente rimbalzato indietro e Pugliese ferma le sue corse a trenta metri dall’area, vero cubo di Rubik per l’attacco varesino che nelle ultime giornate sembra aver trovato gli agganci giusti fra i reparti.
Scorrendo sull’asta del tempo, i minuti assopiscono il tifo di casa fino a quando un cross dal fondo vede Neto cristallino catapultarsi sulla sfera, sprizzata solo a lato del palo. Si ribalta la situazione e sul fronte difesa tocca a Pesoli gettare il suo corpo contro il pallone, padre per la seconda volta poche ore prima e già reattivo nonostante il sonno da smaltire. Alla pausa i pensieri scorrono nel cielo ancora luminoso di Masnago, mai terra di conquista da due anni a questa parte e Sannino, temerario condottiero, sembra non trovare il pungiglione adatto per sgonfiare la mongolfiera del Cittadella.
Così la ripresa ha inizio senza batter ciglio con i medesimi protagonisti a calpestare il campo di battaglia quando i veneti cominciano a sbattere le gambe sui piedi fatati delle ali, fermandone le iniziative con le brutte maniere e la giacchetta nera inizia a cercare nel suo taschino le armi per fermare gli impulsi bestiali.
Nasce così la punizione di Buzzegoli che il guardiano ospite smanaccia poco oltre la barra superiore, un missile diretto verso la segnatura. Oppure la paura fa nove (Cellini), che appoggia per l’accorrente Tripoli nel suo ultimo sussulto di giornata. Ma la parata salva il muro e fa salire grida di dispiacere; da qui in avanti il Cittadella approfitterà di ogni scusa per prolungare il riposo durante la battaglia, scimmiottando i migliori teatranti e Sannino rivoluzionerà la squadra inserendo baby Mustacchio, il toro Eusepi e da ultimo il buon ciccio Corti, con l’intento di movimentare i balli nel sambodromo.
Ogni tanto anche Zappino alza le sue mani verso tini insidiosi o appoggi verso la porta e fa partire i biancorossi con rilanci veloci, Massimo voto per lui e conferma nel posto di estremo, nota decisamente positiva per il pubblico.
La linea verde del Varese spera di essere stavolta risolutrice della situazione, ma la tensione in Mustacchio per la presenza del CT Ferrara gli fa mancare la terra da sotto i piedi e le sue volate sulla fascia lasciano solo amaro in bocca a lui e ai compagni mentre Eusepi gradirebbe una spalla su cui appoggiare i palloni trattenuti con forza ma incontra la giornata peggiore di Neto, solitario sulla spiaggia di Copacabana.
E dare sette minuti di recupero allenta la tensione e ritarda il the delle cinque, portando i pensieri negativi che per un sabato ci fanno tornare alla normalità.

martedì 2 novembre 2010

Attacco al Potere

Ci vuole la sfacciataggine di Bruce Willis che mostrò nella pellicola omonima per confrontarsi con i mostri fatti pelle e muscoli dei senesi. Il panforte è duro da digerire se ogni volta si pensa al tabellone che accumula punti (i loro) e il divario si aggrava. Solo rastrellando senza pietà, perdon randellando, le mani dei frombolieri senesi si mantiene la partita in vita e le speranze di un successo si dissolvono solo lentamente.
Così il maestro pensa di bacchettare l’allievo, quel ragazzo sempre seduto in prima fila a prendere appunti e quando alza la mano per porre una domanda, tenta di mostrare la sua conoscenza oscurando l’autorità.
Recalcati di esperienza ne ha, a volta è dovuto soccombere come contro Magnano e i suoi campioni, altre ha dato soddisfazioni lavorando sul gruppo. E studiando la sua squadra, attua un piano rischioso, battaglia da subito, nessuna pietà per i prigionieri e ognuno ai propri posti.
L’arena si trasforma in un luogo ostico per il toro senese, diventa un palio dove i fantini varesini assaltano alla giugulare il mostro Rapovic, essere deforme più simile all’orco delle fiabe o il lungo Lavrinovic i cui tentacoli sparano inchiostro rosso sulle braccia di Galanda o Fajardo.
La contraerea varesina propone Kangur, caldo esemplare uscito dai boschi come un elfo e Thomas, fauno leggero che nella retina rimane incastrato talvolta mentre Goss preferisce solleticare da sottoterra come una termite lavoratrice.
Ranniko, abituato agli alti fusti della tundra, a passi brevi raggiunge le postazioni, smistando con ordine scandinavo le munizioni mentre Slay impacciato si fa cogliere facilmente in tana. Serve a illudersi la fuga in avanti alla fine dei due quarti iniziali, seppure la battaglia abbia infuriato e i nostri abbiano saputo fare il meglio possibile. Poi quando vengono abbattuti i rovi e la bassa vegetazione, emergono i corpi varesini, facile preda dei senesi, sempre affamati di razziare i campi esterni.
Ma l’orso Slay, uscendo dal letargo, s’inerpica sulle rocce con la sua stazza, gli avversari diventano appoggi per il suo corpo che sale alto, afferrando tutto ciò che dal canestro scende come bacche gustose. Ed il maestro Recalcati si ciberà da lì in avanti delle pillole preziose di Ron, dopo averlo scosso lasciando che la fame lo assalisse per molti minuti. Ecco quindi che al galoppo Thomas abbraccerà il canestro, bucandolo con ogni dardo velenoso mentre Fajardo raccoglierà legna sudando in silenzio.
Recuperare otto punti in pochi minuti esalta la folla varesina, mai sazia di assaggiare la carne succulenta della chianina toscana e il plantigrado del Tennessee, sull’ultima bacca, afferra la bestia; il primo affondo va a vuoto, ma sul secondo le unghie entrano e levando la pelle irsuta, la bocca può cibarsi e con sé gli appetiti dei commensali di Masnago trovano degnamente la tavola imbandita.

Prese di posizione

Reduci entrambe le compagini dalle fatiche con alterne fortune della Coppa Italia, le squadre biancorosse si affrontano al Menti per stabilire i ruoli nei propri campionati. Distanti fra di loro per due maledetti punti a favore dei veneti, le due compagini sembrano avere un destino già scritto prima del calcio d’inizio: Vicenza super imbattuto in casa, vero e proprio fortino mentre il Varese soffre a viaggiare lontano da Masnago.
La Serie cadetta ci offre sorprese vedendo la classifica ed i giovani di Sannino, volubili come il baccalà quando tenta di svincolarsi dal pescatore, mostrano abilità tecniche ed un po’ meno tattiche quando scendono sul prato a dimostrazione di quanto il loro tecnico debba essere più domatore che addestratore.
Alla corsa delle bighe Carrozza arriverebbe sempre primo, ed invece di farsi trainare dai cavalli, porterebbe avanti a sé una sfera di cuoio, di cui liberarsi solo nella rete avversaria, come ben fa già al 7°, numero amico come la sua maglia. Involatosi sulla sinistra, la sua bordata percorre tutto l’arco per finire dentro il palo opposto. Curva in festa quando il Varese va in vantaggio e neanche il tempo per i saltelli propiziatori c’è stato.
A saltare solo Sannino rimane, grillo sempiterno a gracchiare nelle orecchie dei suoi ragazzi scalpitanti, mossi dal cuore combattente e con poco ossigeno, sempre avanzanti verso l’area avversaria in cerca di emozioni forti. Quelle emozioni che ci regalano i lanci trasversali di Carrozza o le percussioni sonanti di Tripoli, a cui Neto o Cellini tocca il compito di portare a degna conclusione.
Ed il Vicenza lascia tutto in mano ad Abbruscato, il quale ingaggia una battaglia sul filo del rasoio con Zappino, esterno varesino da ora in avanti protagonista in positivo per le fortune degli uomini di Rosati. Di piede, di pugno, di mano, ogni tentacolo si allunga verso i fendenti e Goldrake allontana ogni volta, trovando sempre più conferma nell’undici del mister.
La dietro, si dirà, Pesoli appare un poco sotto la soglia di gradimento, ma il portiere serve a quello, a fermare gli indesiderati, a filtrare gli ingressi come un funzionario di dogana agli sbarchi. Dogana che in apertura di seconda frazione il brasileiro Neto tenta di varcare se non Frison cerbero lo travolge mandandolo a terra, luogo gradito assai dal cristallino Pereira per le sue fasi di rilassamento durante la gara.
Tanto è che assiste sdraiato all’errore del capitano Buzzegoli, tiraccio moscio che incoccia lo scarpino del guardiano vicentino. E manca ancora tutto il secondo tempo, così Zappino può mostrare la sua pelata sorridente e rabbiosa agli avanti veneti, mentre in contropiede Neto e Mustacchio avanzano veloci, quasi a sfidarsi in una gara di velocità.
Alla fine anche Frison vuole essere della festa, ma il fortino biancorosso nulla lascia trapelare ed il centrocampo può imbrigliare la manovra offensiva alzando l’oscurità sugli ultimi tentativi, stavolta si passa, Vicenza cade e Sannino respira.

mercoledì 27 ottobre 2010

Al mulino si produce il grano

Anni passarono da un tale risultato e lui era lì, presente, ricordando ancora che quella fu la sua prima, di tante o di poche direbbe Pirandello, in anni belli o brutti, in stagioni normali, sfortunate o ricche di soddisfazioni, ma per lo più vuote di emozioni se non improvvise e durevoli lo spazio di 90 minuti. Il calcio
 è fatto di 22 uomini, undici contro undici e due possibili direttori d’orchestra o comparse, protagonisti se li osserviamo perché registi di sé stessi o figurine da non ribalta.
Stavolta l’incontro parte al contrario, gli alabardati si mostrano umani dal coraggio insano contro un Varese dominatore del terreno amico e mai incline a offrire le tenga agli assalti alle mura di Masnago.

La sconfitta ti fa scomparire o alzare la testa, quella che Godeas mette per colpire in anticipo su Pesoli e King Zappino salva con la sua manona e salvifica le parole di Sannino che l’hanno portato sul verde prato anche oggi. Ancora paura e una veloce scarica di corrente passa per i gradoni dello stadio, mentre i mugugni salgono alle stelle, anzi tentano ma raglio d’asino non vola al cielo e i presunti intenditori del Franco Ossola, come ai tempi delle vacche magre e dei terreni impolverati, vedono nero in un anno che sta facendo vedere trame ordite e non il futbol all’inglese, palla lunga e pedalare.

Allora ci vuole la torre di Pisa(no) per correggere il tiro delle opinioni e mutare il tono delle voci sommesse in un grido unico di gioia. Super marcatore in difesa ed attaccante di stazza, così Eros dimostra il suo amore per la rete (avversaria) e la sua maglia, a cui il difensore giuliano si aggrappa in un tentativo vano cercando di tenerlo sul suolo terrestre.
Il guardiano Caronte Pesoli rimane sorpreso e la sua forza si perde nella battaglia con Godeas, che per una seconda volta va a colpire il legno ospite, mai così tremolante ma uno spritz non si rifiuta a nessuno e tale rimane la gioia, rapida e furtiva poiché la sfera non varca, e mai lo farà today, la linea della gioia.
Differenza esiste sul prato quando un Neto indossa la divisa, non quella bianca dell’infermeria a cui purtroppo la sosta nel luogo poco ameno il brasiliano effettua talvolta. Ed il 10, del quale il compleanno si festeggia oggi il 70° (O’Rey) ed a fine mese del Meraviglioso il mezzo secolo (Diego il migliore) rende omaggio al Dio del calcio dando sfoggio sulla linea di fondocampo di classe cristallina come le sue ginocchia, e la mette in diagonale per il rapido Carrozza, la cui sventola finisce sotto e dentro la traversa. Due minuti e 2-0 siamo, orgogliosi e felici che la sfortuna ha preso altro giro ed ogni occasione si trasforma in oro (quanto vale oggi).
Dimentichiamo che l’oro Zecchin ci aveva lasciato alla metà del guado per la fastidiosa zanzara Tripoli, pungente sul corpo sanguinolento di una Triestina affranta per i sei goals che ha per ora sul groppone dopo una partita e mezzo.
Sul Piave ci lasciano il corpo per una Caporetto gli alabardati, colpiti dagli affondi e le baionette cominciano ad affondare sulla caviglie dei varesini per fermarne la furia agonistica; Osuj ci lascia per un colpo improvvido, forse non sfortunata la situazione vista la grinta del chico nel fermare ogni avversario che gli sfugge nella savana del centrocampo. E così Sannino si può asciugare la fronte perché l’ingresso di Frara, normale come l’arrivo del sabato dopo il venerdì, permette allo sgambettante centrale di sentire il profumo della segnatura con azioni decise verso l’estremo triestino.
La zanzara vuole pungere ed il suo dinamismo svolge una pratica assai dolorosa nella difesa ma il protagonista comincia a delinearsi e se Cellini non ha il coraggio di centrare l’arco, il suo passaggio per Buzzegoli è vitalità per il barricadiero capitano che torna ad imbucare.
La felicità non viene mai da sola e tre son tanti in un sol boccone e la squadra si stringe da sé perché è la sua forza. Manca così solo lui, atteso come l’amante sull’ultimo treno in ritardo, ma il tempo scorre mai vano quando si pensa a ciò che sarà il dopo.
Ed il 90° si supera con un desiderio per l’evangelista Marco (Cellini) di scrivere la parola fine al suo digiuno, affamato di reti e poi sazio per una segnatura così cercata come la tela di Penelope. La cosa più bella è il gruppo su di lui, perché la squadra parte da qui e Zappino ringrazia Sannino con una corsa pazza, tutti protagonisti, nessuna comparsa, questo è un kolossal. Alla prossima Signori.

venerdì 22 ottobre 2010

Castagne a fuoco lento

Si riparte da dove si era terminato: Pesaro chiude un’era e la riapre per Varese, tante cose nuove a partire dalla società e alla sua forma e ai suoi visi, sempre più pallidi visto il regolamento schizofrenico.
Il ritorno di Slay dopo un’estate da Romeo e Giulietta è poco gradito dalle piccole stazze marchigiane che sono spazzate via dalle forme largheggianti dell’uomo del Tennessee.
L’inizio è però per Goss, topolino che rinnova la cabina di regia dopo il biennio del Professore, e ci lascia con un Phil di voce per i primi cinque punti dell’anno e della sua serata alla Scala del Basket. L’arciere Thomas difetta in precisione; come se il fiato greve di Pillastrini mancante sul suo collo lo facesse sentire orfano all’asilo.
Non sembra mancare nulla alla serata perché l’orchestra suona subito la mazurka che spiazza gli uomini di Dalmonte (da saloon il suo completo), rimasti al tavolo senza riuscire a sedurre il canestro. Almond decide di alzarsi da solo, una signora sarà sicuramente di passaggio perché con la sua marcatura Recalcati sembra non azzeccare il compagno ideale, prima il vecchio (Galanda), poi la lepre (Thomas) infine il gigante buono (Fajardo). E così Pesaro, seppure sotto nel punteggio, si trascina lentamente nella rincorsa del treno biancorosso mentre assistiamo ai contropiedi di Slay, rapido diretto al canestro senza fermate intermedie e ai furti da ragazzo della gang di Goss, che con entrambe le mani sottrae il portafoglio (ah no scusate la boccia) al suo dirimpettaio Collins.
Alla pausa siamo sopra di sette, per una volta la memoria difetta nei ricordi di un tale vantaggio in un match conto un’avversaria degna di tal nome. E per confermare la tesi, Varese ritiene corretto smentire il cronista dopo la pausa subendo i ripetuti colpi diretti di Almond, resuscitando il pugile pesarese dal knock – out.
I mali del passato tornano a galla, le vecchie cicatrici creano dolore quando cambia il tempo, e l’umidità entra nel corpo, perché la difesa varesina fa acqua da tutte le parti e le gambe non rispondono neanche quando ci si mette a zona. Il cucciolo Collins spara facile in zona frontale e porta Pesaro fino al + 11, appena i guerrieri lombardi cominciano a lanciare frecce da una faretra fin lì bagnata, colpendo la mela di Guglielmo Tell.
L’ultimo quarto è una sfida all’Ok Corral, gli arbitri sentono l’affanno che finisce talvolta nel fischietto senza controllo e certi minuetti vengono avvertiti come ancate da balera. La rincorsa si fa ardua, piuttosto che mollare la presa si va per le terre a cercare ogni possibile chicco lasciato dai pesaresi e lo si trasforma in raccolta, cioè in punti.
Il Dio Crono percorre il suo tragitto lungo l’arco del tempo a passi lenti e le sue orme sono ripetute dai varesini con solerzia, riprendendone il percorso dei primi due quarti. Recalcati ci capisce di questo basket ed i suoi dioscuri gli danno ragione pubblicamente, oggi un tipo come Fajardo sembra un matador applaudito dalle folle e poi Slay appare alla porta suonando il campanello. L’anno scorso alla prima suonò la sinfonia da solista, quest’anno è un musicista di prima fila, a Varese si alzano le braccia, per una sera siamo capolisti, che siete venuti a fare…..


lunedì 18 ottobre 2010

Il Deserto dei Gobi

Nel catino infreddolito di Udine, il piccolo equipo veneto affronta la squadra varesina, pensando ad interrompere la serie negativa che sta affliggendo da qualche settimana i volenterosi amaranto. Il sogno deve continuare e sarà così nella prossima partita casalinga, da disputarsi per la prima volta sul terreno amico, sistemato non in tempo per l’inizio del torneo nonostante la solida solerzia triveneta.
In questi spazi immensi sembra di tornare all’epoca dell’Eccellenza, pubblico scarno di un sabato lontano dai rumori, assiepatosi in numero esiguo per trascorrere un pomeriggio, il solito, forse noioso ed in cerca di qualche emozione provinciale.
Dopo pochi minuti il vostro scrittore comincia a provare estrema sensazione di noia per un match addormentato dalla qualità del Portogruaro, presente solo nei loro prodotti vinicoli e non altrettanto dicasi nei loro piedi. Il giallo dato a Pugliese suscita interesse pari in maniera inversamente proporzionale al tonico che comincia a scorrere nel bicchiere e da li con un colpo di polso nella gola del Pampa.
I punti servono sempre e per riempire la casellina va bene ai veneti portare la bella addormentata nel bosco, conducendola per mano, nascondendo il lupo famelico e così il Varese si lascia condurre nella noia di una partita quasi da fine stagione, apparendo femmina pronta per il gran ballo di termine dell’anno scolastico.
Poi ci sono condottieri a cui piace prendere il timone a due mani e Buzzegoli spara una sassata dai 25 metri che calamita il palo, tintinnio che sveglia Alice quando mancano 5 minuti alla merenda.
Eppur si muove, si direbbe di un oggetto fermo quando è solo un’impressione il suo movimento ed il Varese esce dal tunnel con un po’ di tenacia aggiunta dalle grida di Sannino nell’intervallo. Mustacchio entra di li a poco e la sua voglia di ben figurare scuote l’attacco portando Ebagua vicino alla conclusione felice in un paio di circostanze, sennonché su un’azione da oratorio Tripoli scarta come una caramella il portiere avversario e la mette in mezzo per la Perla Nera che di testa la indirizza verso la rete, salvata da un difensore ed allora si inventa una rovesciata portando in vantaggio i varesini.
Forse i sensi di colpa per non essersi espressi al meglio consiglia ai ragazzi che la generosità va mostrata aprendo la porta di casa e Zappino lo fa in maniera cortese come si conviene ad un portiere d’albergo, offrendo ad Altinier, giocatore dal nome di sciatore altoatesino, l’occasione per prendere lo skypass guadagnandosi gli applausi infreddoliti del Friuli.
E con questo goal gli avversari prendono vigore mentre i nostri ragazzi ripiegano non sapendolo fare e così si lascia il povero Cellini in mezzo al guado, costretto a gracchiare per far notare la sua presenza.
L’illusione di una seconda vittoria esterna si perde nel deserto dello stadio, il miraggio rimane tale e si torna con insoddisfazione, qualcosa ha da sistemarsi.

giovedì 14 ottobre 2010

Un diamante per te

L’ennesima volta che si vieta ai tifosi ospiti di salire in Lombardia chiude le porte alle prove di civile convivenza che ormai servono come il pane. Se poi la farina la devono mettere le solite persone, basta far lievitare la tensione per far saltare il banco, ops il forno.
Si pensa ad un Varese con i cerotti, ma i perni della squadra, Neto e Pesoli, sono li a dettare davanti e dietro; dopo l’ennesima sconfitta esterna realizzatasi in maniera sodomitica, non ci si può scoprire dietro mentre in avanti bisogna infliggerne almeno due di colpi nel corpo amaranto. Seduti di fronte al tavolo da gioco, Sannino cambia un paio di elementi, ma si trappole non pensa a metterne, il Varese non pensa mai a cosa farà l’avversario, il pallone lo tiene stretto ed avanza a passi lenti lateralmente, per poi appoggiarsi alle due torri in rapidi contrattacchi nella piana livornese.
Il panzer Ebagua muove i suoi cingolati contro tutta la difesa per lanciare l’arciere indifeso Neto, a cui è preferibile dare la possibilità di muoversi senza mastini a mordergli i garretti. Istanti che valgono una serata, desiderando nella scatola dei sogni quello che si aspetta da sempre o da mai, perché pensare può limitare ed un battito d’ali fa volare Tripoli, minuto e rapido come un guappo dei Quartieri Spagnoli, la cui pelota spedita in mezzo all’area fa ascendere sul pennone il vessillo brasiliano e come sulla spiaggia di Maracaibo dalla sabbia si alza Neto per colpire in rovesciata e mandarla in fondo al sacco.
Lemme lemme la sfera è scivolata nella porta ed il grido si è levato come un tuono in una notte di settembre. Se il 17 deve essere numero infausto nella tradizione popolare, questa sera ci ha regalato la gemma più bella, la fidanzata è stata soddisfatta e le sue braccia aperte ti fanno stare bene. Poi siccome la relazione è fatta di passaggi intermedi, lasciarla sola in certi momenti ti può costare caro, più di uno schiaffo malandrino.
Per cui ad esso devono seguire complimenti ed attenzioni e Sannino il Saraceno ben conosce la ragazza. La distrazione porta facilmente il Livorno in avanti e qui si parla di bombardieri come Tavano e Danilevicius, a cui la porta appare come Lipsia durante la seconda guerra mondiale, poiché il suo garante sembra condizionato nelle manovre quasi che l’ombra di Zappino vaghi sulla sua testa.
Il Livorno sembra un vecchio bohemien che fra una tirata di sigaro ed un goccio di tonico, aspetti il momento calmo per una frase che colpisce. Si scalda l’animus pugnandi dei combattenti per colpa di un’entrata aggressiva sulle gambe di Osuj, angelo nero che porta la croce e dimostra i suoi progressi pallonari.
Ebagua, a cui piace la lotta, si ficca subito nel mezzo per litigare e le menti corrono subito alla sfida con il Benevento, dove un’espulsione cercata modificò il prosieguo nei play-off. Ma stavolta tanto si muove che nulla si alza dal taschino dell’arbitro ed un tiro di Pisano sull’esterno della rete abbassa la concentrazione varesina, quando il vecchio bohemien, girando la pagina del libro, detta la sua massima che rimane nelle menti lucide e la falsa parata di Moreau lascia un facile appoggio nella rete per il pareggio fatale.
Di tempo ne rimane una manciata, lieve da soffiare via senza più pericoli quando le energie mentali finiscono nel barile bucato, ed a questo punto sollevarlo serve a ben poco, sarà per la prossima volta, vatti a riposare giovane, un’altra perla dovrai regalare per gioire per tutta la serata.

venerdì 8 ottobre 2010

Falco a metà - seconda parte

Passano le ore e viene la luce, quella dei riflettori che rischiarano il verde del campo, messo a dura prova dalla battaglia di lunedì e pronto per sentire il peso leggero dei moschettieri biancorossi volare sulle fasce.
Quarantacinque minuti cambiano il volto della sfida, conta la rapidità dei passaggi e spingersi a testa bassa può mettere pressione . per cui Mister Tesser cambia subito e parte con tre spine nel fianco del Varese per fargli venire l’orticaria.
Sannino non ci tiene a finire in un cespuglio di rovi e lascia tutto immutato, per non smentire sé stesso e confondere i suoi allievi.
Nella bocca della verità la mano sarebbe mangiata se si pensasse ad un Varese caparbio da subito, ma così è, Buzzegoli sembra un altro e cattura palloni, mandandoli sulle fasce per i cross di Zecchin o le serpentine di Carrozza, farfalla sul prato verde di Masnago. E poi Pisano con quel nome, Eros, carico di ormoni per la rete avversaria da trafiggere, buca ancora in solitaria l’avverso Fontana su un corner che Ebagua aveva cercato.
L’orchestra biancorossa suona il requiem per il Novara per pochi istanti, poiché la giacchetta nera vede un Clayton distratto su un Bertani sbucato dietro a lui e stenderlo gli costa la via diretta dell’inferno, azione strana per lui che di testa sa trattenere ogni pallone lontano dal guardingo Moreau. Per il cronista sembrava rigore, osservando la mimica arbitrale e solo la barriera cospicua lo salvava dalla rabbia per l’azione insulsa, che costava solo una punizione dal limite.
Lo spavento per il tiro diretto si dissolverà dopo qualche minuto dei soliti minuetti in barriera, ma da li in poi la Gallia varesina si chiuderà in sé, tentando di diventare una tartaruga per arrivare con molta fatica nel mare della Vittoria.
Girandola di cambi che rilassa il pubblico e l’uscita di Cellini, ancora a bocca asciutta, per un Osuj sempre cattivo su ogni pallone, ci preoccupa per la possibilità che il centrocampista di rottura sia come Giano bifronte, necessario ma anche inopportuno quando la rabbia scende dalla mente e finisce nelle caviglie.
I minuti passano come granelli di sabbia della spiaggia dei Caraibi, bianca ed immutabile e la tensione è solo sugli spalti poiché i biancorossi appaiono freschi e nella battaglia del Risiko si spostano non per invadere ma per difendere e nel Triangolo delle Bermude di competenza di Moreau si spegne ogni furore offensivo biancoblù.
Dopo un quarto di secolo è sufficiente il cadeau d’argent per un pubblico che esulta, Varese conquista la sua apoteosi e la Casa rimane intatta.

martedì 5 ottobre 2010

Falco a metà

Se per un punto Martin perse la Cappa, stasera gli Dei hanno dato una mano ai biancorossi perché il campo alluvionato, con la conseguente sospensione, lascia a metà il capolavoro degli uomini di Sannino. Colpiti a freddo da un killer come l’ex Bertani, senza neanche aver toccato palla in 15 secondi di schemi modello Playstation, i ragazzi biancorossi rovesciano rabbia e furore sul campo, senza nulla pensare ed adattandosi con maestria. Anche il peso leggero Cellini sembra una farfalla come quella che Alì mostrava di essere sul ring e di colpi il Marco non ne risparmia, sacrificandosi per la torre Ebagua, mai vacillante e pronto a staccare su ogni sfera vagante.
Sembra il tempo scorrere come la sfera appena tocca terra, in realtà l’ardore varesino brucia le tappe e numerose si fanno le occasioni finché all’8° esatto un Carrozza ballerino infila nell’angolo radente il pallone del pareggio, esaltando la folla sugli spalti.
L’arena ha per protagonista il Varese matador, pronto ad infilzare ferocemente il toro novarese, che abbassa le corna in segno di resa in maniera repentina. Le piume varesine volano leggere e non soffrono le condizioni pessime, anzi più sentono l’odore del sangue e più attaccano, senza lasciare nulla di facile in difesa dove Clayton sembra un’idrovora e Pesoli il Maciste che allarga le braccia per fermare anche i refoli di vento.
Ebagua si batte contro tutti senza remore e da un pallone recuperato sulla linea di fondocampo, guadagna un corner proficuo per la matata in girata di Pisano, il quale rimette la sfera nello stesso angolo di prima.
Un goal così vale da solo il biglietto ed anche ogni goccia, di lacrime per il Novara e di sudore per la banda di Sannino. Non sembrava così facile ai piemontesi farsi rimontare, ma quando il cuore pompa sangue alle gambe, il gioco non può che produrre occasioni.
Poi arriva il fischio mandato dal Monte Olimpo, per darci una rinfrescata e spostarci a mercoledì per la seconda parte. Chiudiamo il sipario, per aprirlo ma anche lasciare il tutto così, senza la richiesta di una recita.

lunedì 20 settembre 2010

Senza rete non si Pesca(ra)

Giove Pluvio si abbatte con forza un’ora prima che dalla barca scendano le fiere di Sannino per cogliere nella rete i delfini biancoazzurri, oggi con una poco avvezza divisa giallo Svezia. Manca la vittoria al Varese da un quarto di secolo fra le mura di casa, fosse che fosse la volta buona direbbe Sannino se parlasse in lingua originale, poiché le sue grida sono bene comprensibili ai suoi pupilli, rapidi e scattanti come le ultime rondini di fine estate.
Si spegne il rubinetto dell’acqua calda e la manopola di quella fredda gira rapidamente al 18° per il vantaggio abruzzese grazie ad una girata al volo di Soddimo, facendo levare al cielo le braccia biancazzurre. Ma la difesa varesina dovrebbe fare testamento prima di permettere certe azioni da Playstation perché il cross giunge facile senza contrasto ed il new – entry Zappino, che di biancoazzurro vestiva prima sul Lario (vedi Como), raccoglie nel sacco la castagna ospite. Da notare che Moreau era uscito prima, dalla porta e dal campo, per un versamento, e da li aveva preso la via dell’ospedale, per farsi visitare e prendersi forse un po’ di riposo necessario.
Da ora in avanti si guarderà solo in una metacampo come l’assalto alle Termopili, solo che di beffe non saranno necessarie per varcare il portone , bensì di forza pura in quanto lo sterile Cellini, anche solo davanti alla porta in due occasioni, incrocia gambe avversarie ostili al suo passaggio finale verso la gloria. Questo Varese ha di buono che non demorde e non scalpita in maniera nervosa, ma continua a ragionare e come robot, in automatico, la palla passa dai piedi diversi della difesa, del centrocampo e dell’attacco, senza lanci stile bombe a mano, ma con geniali o semplici tocchi. Piace la squadra ed il pubblico la incita, Corti là in mezzo fa da vigile nel traffico stoppando e ripartendo, con un lavoro oscuro che purtroppo appare agli occhi ignoranti solo nel momento dell’errore.
All’entrata di Ebagua un momento festante si ode nel cielo scuro di Masnago, come la partita della squadra di casa, fatta di momenti bui sotto porta, dove più conta la luce. Ed al pareggio pervenuto in un’azione confusa, nella quale Buzzegoli si mostra come Guglielmo Tell alla rovescia, invece di prendere la mela, incontra le gambe della pantera nera che di forza la mette alle spalle di Pinna. Al che la luce si spegne per davvero, quella del riflettore, quasi a voler sopire i desideri di vittoria di un Varese sciupone ma divertente.
E se di bagnate ci sono le polveri di Cellini, che se ne va dalla strada maestra per la direzione doccia, Frara prende i comandi della barca e nel quarto d’ora finale le occasioni per fare festa ci sono, ma il pesce abruzzese con la sua Pinna squamata ribatte i colpi nella tonnara, dimenandosi da un palo all’altro. E a Sannino non rimane che stare nella rada, aspettando qualche rete gonfia in più.

giovedì 9 settembre 2010

La ricomparsa dei fatti

Incomincia l’annata cronistico – sportiva del Pampa Berna, agile come sempre a salire i gradoni del polveroso Franco Ossola, questa volta e per tutto l’anno destinato come ai tempi che furono nel Settore Distinti Nord. Il periodo di lontananza dall’agonismo sentito, e non vissuto, spegne un poco le velleità combattive dello scrittore, ormai più appassionato alla parte sociale dello sport.
Uno stadio che si colora di biancorosso con un cielo terso ed azzurro annuncia il divertimento pallonaro, una serie B che salutai molti anni fa quando di spettacolo c’era ben poco ed il pallone veniva preso a pedate in maniera disonorevole. Adesso l’undici di Sannino mostra gioco a piè sospinto, arioso e lodevole, fatto da uomini e non da Maciste come vogliono i teorici di oggi. Che si corra quello è l’importante, ma perlomeno si mira alla porta con l’intento di varcare la frontiera fra la felicità ed il nulla.
Si parte a testa bassa e con la Carrozza sempre a tutta, mai domo e baldanzoso sulla fascia. Con lui Pisano se ne può stare sulla difensiva perché il terribile Corallo, perla di mare per questa squadra azzurra, minaccia con il suo modo furtivo il buon Moreau mentre Pesoli e soprattutto Pugliese alzano la staccionata ancor prima che il treno sia in prossimità.
Lo spavento lo avverte il capostazione Moreau su una punizione (non corporale) radente, appena superata la mezz’ora e mai sarebbe stata colpa più pesante per gli errori sottoporta di Cellini o la non voglia di tirare di Neto in un paio di occasioni, subire il passivo empolese. Ancor più l’errore in difensiva di camisa, arrivato al massimo delle sue ambizioni calcistiche, vedersi sfilare il crostaceo marino davanti al notaio francese che blocca con le sue chele il Corallo empolese.
Tanto va la gatta al lardo che ci lascia il buon Sannino, sempre agitato nella sua zona e propenso giustamente a continuare con l’undici iniziale.
Zecchin sembra un po’ sfuocato ed il cambio per la tarantola libica Tripoli gli da respiro e più velocità. La confusione sembra negativa ma permette alla mediana biancorossa di bloccare i toscani sugli argini e di buttare qualche pallone scivoloso in più nell’area.
Se non entra è perché manca un passaggio in meno oppure un Osuj c’è in più, rapido e cattivo sulle sfere e mai tanta aggressività può essere negativa, quando la voglia è quella di vincere.
La contesa si fa accesa con Neto che accelera in corsia di sorpasso ed il cambio per Ebagua gli permette di riscuotere un battimani meritato.
Questa partita non ha vissuto di sussulti continui, ma mai si è spenta e si chiude con la seconda volta consecutiva in casa con un pareggio ad occhiali, lasciandoci imbattuti e con un certo senso di sicurezza per quello che verrà.

mercoledì 7 luglio 2010

Si sale sugli alberi

Per la serie la storia si ripete, chi c’era allora, parlo di quando il Varese bloccò l’armata grigio rossa in quel di Masnago, tarpando le ali e riempiendole metaforicamente di cera a Vialli e compagni , allora capitano di una squadra che si trovò a vedere andare in fumo la promozione diretta in A da una compagine che nulla, in barba alle combine, aveva da chiedere all’ora finale di campionato. Ed a gioire furono i catanesi che nei play off disputati a Roma strapparono il biglietto di andata ( e poi fu un ritorno immediato) per la serie maggiore. Il Vostro cronista era li, sugli spalti assieme al padre, a vedere come di consuetudine l’ultima sfida di ogni campionato che il Varese disputava e fu partita vera, rabbiosa, nervosa ma giocata con classe da un gruppo di atleti che non rivedemmo più di tale spessore in quel della città giardino.
Dopo un po’ di anni e di retrocessioni e non solo (vedi alla voce fallimenti), la storia ritrova quel cammino, ma stavolta la sfida all’ultimo sangue vale per la gloria per entrambe, con gli uomini di Sannino con la bava alla bocca per una partita che può significare il grande salto per la loro carriera. Qualcuno penserà che ci sono troppo epiche sfide già nella vita normale, ma qui su un campo di calcio , di erba verde come non mai, qualcuno cerca di volare oltre l’ostacolo.
Schemi che non esistono per una squadra che quest’anno in casa ha fatto vedere i sorci verdi a tutti, segnando e divertendo, conoscendo bene l’area avversaria e poco la mediana difensiva. Il Mister varesino si affida all’estro di Zecchin ed alle volate furiose di Carrozza, libero di svariare in qualunque direzione ed i primi minuti sono un continuo battere di angoli con la Zecca malefica pronta a pungere , spingendo palloni diabolici nella difesa cremonese, apparsa lenta a chiudere quando qualche biancorossa cerca di infilarsi nella pelle. I tiri verso l’estremo ospite sono però rari, maggiore sono gli spaventi quando il nulla sembra preludere e Buzzegoli prova la carabina su un batti e ribatti dal limite dell’area. Dietro Preite soffre a rincorrere le ali grigio rosse ed il suo petto forzuto poco può contro i centometristi scesi dal Torrazzo. Sannino appare dunque sicuro delle sue scelte e mai chiede di ripiegare, non fosse perché la mancanza di Armenise costringe Pisano ad essere pendolo per metà, mancando la lunghezza della corda per coprire il campo nella sua interezza.
Il riposo serve per interrompere le sparate a vuoto e riorganizzare le truppe in quello che sarà l’assalto finale, quando i panzer biancorossi alzandosi dalla panchina renderanno più spregiudicata l’armata, tanto che l’ingresso di Del Sante sembra il possibile preludio alla camminata finale verso il Monte Golgota, con le spine conficcate di un gol necessario ed indispensabile. La storia però non si ripete stavolta e colui che fu l’uomo più in difficoltà nella stagione non si pulirà l’onta di un’annata infelice, ma aumenterà i rimpianti dell’assenza della pantera Ebagua, ahimè incastratosi nei giochi pericolosi delle provocazioni argentine. Il direttore d’orchestra Daniele Buzzegoli seppellisce il catenaccio cremonese con una fiondata dai 25 metri facendo ribollire il Franco Ossola, sciogliendo il torrone in un acido terribile per le speranze ospiti, e con un colpo di teatro, dalla buca del suggeritore la scena finale ha del tragico, quando Carrozza non demorde su una palla persa e va a farsi agganciare dal guardiano della porta ospite mentre cerca di deporre la refurtiva. Rigore è per i cuori in fiamme di entrambe le fazioni, se Amleto avesse il teschio fra le mani non saprebbe se gioire o piangere poiché questi minuti passano imperturbabili solo per le statistiche. L’eroe sale sul palco per il colpo finale, sapendo che la stecca sta nella battuta e nessun suggeritore saprebbe dare l’input essenziale. Così il nostro Buzzegoli sceglie la botta secca che alza al vento un vento fresco che sa di Serie Cadetta. La Festa può iniziare, il loggione applaude la scena finale.

venerdì 11 giugno 2010

L'ascensore

La risalita nelle categorie iperprofessionistiche da parte del Varese del Ei fu cavalier Borghi è un sogno che si dipinge sulle prealpi che si stagliano alle spalle della Curva Nord, rispunta finalmente dopo anni di equilibri precari nelle categorie infime con viaggi dei libri contabili presso gli uffici della Legge. Ma la Gioventù di casa respinge e ringrazia l’invito e rimane nel settore dei distinti, costituendo un muro biancorosso che si contrappone ai caldi tifosi giallorossi saliti dalla lontana Benevento. La compagine campana insegue da anni il grande salto, con notevoli fatiche e sfide di play – off perse per un nonnulla.
Mister Acori cerca nell’esperienza di alcuni suoi uomini come lo spilungone Evacuo al centro dell’attacco o D’Anna, ex del Chievo abituato ai campi di provincia, il colpo risolutivo determinante a spezzare l’entusiasmo dei giovani di Sannino. I primi minuti sembrano quelli dell’assalto a Berlino finale, con i panzer russi alla frontiera e qualche giovane improvvisatosi fuciliere a difendere il lieve baluardo davanti a Moreau.
Ma Varese ha i cavalli giusti per salire in Carrozza, furtivo nel doppio dribbling che lo manda per le terre causa lo sgambetto di Landaida. La pantera nera Ebagua va sul dischetto per spiazzare l’estremo difensore ospite e corre sotto la tribuna, forse ad indicare qualche procuratore visto poi l’annuncio fatale di fine gara. Dopo pochi minuti ancora l’ala biancorossa vola sulla fascia e stavolta memore dell’errore precedente, solo il guardiano giallorosso lo può fermare.
Le streghette campane avanzano senza fatica fino alla mediana, ma poi solo la scarsa attitudine di Armenise permette a qualche pallone di filare nell’area con un Moreau voyeur per gran parte della competizione. La magia nera sembra cadere sul ginocchio di Neto, fin li bell’addormentato dell’attacco varesino e questo permette a Sannino un cambio necessario senza ammainare la bandiera brasiliana poiché Dos Santos va a sistemarsi in mezzo al guado.
Pochi minuti, e si cambia ancora registro; Carrozza ruba palla come una caramella ed entra sulla destra, il suo tiro trova le gambe di un giallorosso e comeil Dio del calcio, il peggiore a quel momento in campo, Ciccio Corti, appoggia la sfera nella porta sguarnita. Se il pallone è rotondo, le vene sono torrenti in piena per qualcuno, l’aria non è delle migliori ed una provocazione da rodeo fa nascere un sfida all’OK Corral. Da una situazione di vantaggio netto, dove la pace dei sensi scenderebbe a placare ogni istinto più selvaggio, l’argentino mai domo Landaida assaggia con la fronte la testa della nostra punta di colore, facendogli disegnare un’orma pesante sul terreno.
Ma poiché i mali non vengono mai da soli, ci pensa lo sbandieratore sotto i distinti a dar manforte alle provocazioni, spedendoli entrambi verso il tunnel d’uscita dal palcoscenico, un tragitto che si rivelerà infinito permettendo di aprire le danze di un valzer agitato, fatto di calci volanti, pugni e rincorse. Tanto tuonò che piovve direbbero gli indiani, che per non aver visto nulla fecero nel frattempo e la giacchetta nera, finita la gazzarra, a nulla provvede.
La tensione cala come una foschia londinese, il gioco finora spumeggiante sbollisce e si pensa all’ombrellone ( a Benevento) e a non finire come i cristiani nel Colosseo ( i biancorossi).
Ecco che il gatto sornione Germinale la mette sul secondo palo da un corner anonimo di fine partita e la febbre risale velocemente. Dal termometro si deduce che il sudore scende copioso dalle tempie come la pioggia tropicale. Anche il recupero determina un aumento dei liquidi , palloni piovono come bombe nell’area sempre più allargata a piscina milanese ferragostana. Speranze non si concretizzano, Varese va in finale, ma solo se saltelli.

martedì 13 aprile 2010

Una pizza e una coca, paga lui...

E' così che inizia la trasferta dei babies napoletani (poi scoprii che arrivavano da Rieti) , proiettati in quel tempio del basket che è Masnago, qualche settimana prima dei maghi della palla a sfera che sono gli Harlem. Differente il livello dello spettacolo, dalle stelle alle stalle sarebbe il giusto paradosso, ma ahimè infangante per quei bravi ragazzi che rimarranno negli annali e nelle loro memorie come un'esperienza solo esaltante, perchè segnare contro dei professionisti rimarrà impresso per sempre. Dopo la pizza , un bagno di folla nel Colosseo che per una volta non sarà luogo di spettacolo e poi la corsa a prendere il treno, perchè domani si va a scuola. Altro da dire non ne ho, la poesia l'hanno scritta loro stavolta.

venerdì 26 marzo 2010

È primavera, svegliatevi e giocate

Si entra al Palazzo (di Giustizia finale) e l’uomo nero in campo è più grosso di quello solitamente in campo, un cacciatore di testa non avrebbe difficoltà a riconoscerlo……
E venne la prima di Slay, dopo mesi passati in letargo forzato per due ernie tanto improvvise come il malto quando gorgoglia nel tino durante la fase più importante del processo di produzione.
L’uomo con la fascetta alla Borg si alza dalla panchina, generando un’improvvisa esaltazione nel pubblico varesino che già bofonchiava contro questa scelta apparentemente strana. E subito con un gioco di 2 + 1, l’armadio del Tennessee (non chiamatelo botte, quella serve per il nettare degli dei), si batte il petto come King Kong e l’urlo che ne esce dà un smorzata alla squadra biancorossa, facendo alzare le liane, pardon le braccia al cielo e Masnago torna la bolgia caliente, spegnendo la fuga di Treviso. Varese era partita molto contratta, con il Professore che non saliva in cattedra ed i bianco verdi subito in fuga nella prateria difensiva pillastriniana. Ma l’ormone primaverile non sembra destare molto interesse nel pubblico addormentato da non so quali sapori di marzo, forse quelli del gelsomino, candore bianco che si sparge come cenere sui capi, vista la vicinanza con la Quaresima.
Dopo la partenza sprint degli uomini della Marca, ci si ricompatta grazie al Pastore Giobbe Thomas, subito pronto a doppiare le triple in contropiede mentre Childress cerca il predellino per salire in cattedra , ma finisce per inciampare pericolosamente in qualche circostanza.
Nella settimana di San Patrizio, Repesa va a pescare nel fondo del suo pozzo ed il fromboliere dal cognome verde d’Irlanda Neal, ma ebano puro davanti allo specchio, tiene alta la bandiera di Treviso con una serie di tiri dai 5 metri su cui Pillastrini cambia continuamente la marcatura senza trovare ossigeno per il canestro varesino. E quando il cannoniere trevigiano scarica la palla, c’è pronto Nicevic a far la sua parte su cui i mezzi lunghi prealpini non possono che attaccarsi alla maglietta, portandolo direttamente in lunetta dove trova una casa accogliente per il suo morbido tiro.
Quando Childress trova il passo giusto per salire sulla pedana a lanciare strali, facendo filare palloni al bacio per i vari realizzatori di turno, il punteggio prende una piega biancorossa, come soprattutto un paio di pick’n roll che aprono in due la difesa dalle scarpe lente di Repesa e portano Tusek e Martinoni sotto le plance per appoggiare al tabellone facili due punti.
Se poi allo scadere del primo quarto il Prof infila la solita tripla , beh alzarsi in piedi è forma massima e dovuta di rispetto per un campione ancora sulla strada come Kerouac.
Una pausa che non fa cambiare l’andamento della gara, il gatto bianco verde che cerca di soffiare il formaggio al topolino biancorosso, il quale cerca il pertugio adatto per infilare la testolina sotto le schiene delle bestie trevigiane Taylor e Nicevic mentre la pantera Morandais si è ingurgitato qualcos’altro, e non ne vuol sapere di togliere la virgola dal suo tabellino così facendo la curva gliele canta (per il suo morale) e Pillastrini lo richiama (per evitargli la dormita).
La moneta che si pone sulla lingua da portare a Caronte finisce nelle mani di Slay, puro conio di zecca e determinante nel sancire con i suoi giochi artistici un vantaggio minimo alla sirena , momento in cui finalmente la difesa di Varese non subisce il canestro allo scadere senza fare fallo, evento raro da sottolineare con matita rossa come il sangue versato assieme alle lacrime da Thomas in difesa , facendogli scordare il canestro
Alla ripresa delle ostilità, il battaglione biancorosso comincia a premere sull’acceleratore, il safari è iniziato e la pantera nera comincia a correre, segnando i suoi soliti tiri dalla distanza dopo palleggi estenuanti, fuggendo rapido dalle mani dei cacciatori. Questo prendi e tira piace parecchio agli esteti del vecchio basket, un po’ meno al corazon del Pampa che comincia a sentire soffi sinistri alle sue coronarie, cariche di emozioni e mal sopportanti la fretta, così il buon coach pone sulla panca il regista classico dei suoi film e ripropone McGrath, senza arte né parte, povero lui che non sa che pesci pigliare sul lago più alto del mondo, vetta per lui troppo alta visto il livello del gioco.
Dalla savana ne esce invece una pantera nera, gattonando sul filo del rasoio, anima nera come l’amaro siciliano e caliente nello scaldare la retina avversaria, lui è Morandais, spettatore pagante per le anime varesina da ormai un mese. Censura lui non ne subisce come Santoro e va in onda in diretta sul parquet di casa, cominciando con una fila di non errori. Scorre il tempo come il cinese che sta sul fiume ad aspettare il cadavere del nemico, il punteggio si alza senza tregua e ciò piace agli statistici di casa, seppure la sua difesa sia alquanto incolore e qualche mugugno sia ben giustificato. Aspettare Ferrara è troppo rischioso, in laguna il pescato potrebbe essere indigesto, meglio cercare lo scalpo oggi ed appena si cambia passo, Varese fa correre il fiato corto (del Pampa) ed allunga, come Bikila in quel di Roma in una notte d’agosto. Sempre il Professore la mette dai soliti otto metri quando manca un minuto mas o meno sull’orologio quadrato, lui che sta aspettando che l’INPS lo richiami all’ordine, ma ciò che l’età dice, il cuore non ascolta. Un altro paio di liberi e la libertà è per noi popolo di Varese, un pezzo di LegaUno è messo sulla casacca, sempre meno stinta e gli abbracci di fine gara lo stanno ad indicare, insieme si vince, ora e sempre.

domenica 21 marzo 2010

Il torcicollo

In quel di Avigliana, di fronte ai neopromossi dalla Serie B della Juve 98, il nostro cronista temerario provava a tenere a bada le mazze caldissime dei bianconeri, buon banco di prova per Zero al fine di saggiarne le capacità dopo l'impegno dello scorso week -end. L'inning iniziava subito con una valida sul filo della terza e poi con un errore dell'interbase, ponendo cosi' due uomini sui cuscini caldi. E quando il ricevitore caraibico Mota spediva sul conto di due strikes e zero balls la palla alta nel cielo grigio dell'alto torinese, il collo taurino del poeta si voltava di scatto cercando di trattenerne con lo sguardo il lungo percorso. Vano fu il suo tentativo e piena la gioia per non essere un giocatoreprofessionista all'età di 38 anni, il che avrebbe significato aver speso una carriera all'insegna del non fu.

lunedì 15 marzo 2010

Scusate per l'assenza

Derby in quel di Masnago, di fronte a pochi intimi (non quelli prediletti) causa le leggi razziali e spesso virtuali che fanno di Busto Arsizio città divergente da quella Giardino. Purtroppo il vostro Poeta non potrà raccontarvela, non per il decreto legge quanto per i suoi impegni sportivi che lo vedono ancora una volta sui campi verdeggianti calcare con Classe il monte di lancio verso la Luna di una carriera infinita. La chiamata evangelica a sè da parte di Faso e la sua accettazione in maniera decisa (si dimentico' di chiamare il Presidente....) lo porterà lontano dalle sue squadre del cuore nei prossimi week end ed inece di alzare i colori biancorossi , porterà sulla sua pelle quelli rossoblu' milanesi, lui varesino Doc o per meglio dire , blend puro. A presto su queste pagine, sentendo alla radio o per vie traverse, le faccende che i suoi Benjamini svolgeranno da professionista quanto lui è.

martedì 2 marzo 2010

Un calzone troppo gonfiato fa male

100 anni e non sentirli per una società è come dire che in un mondo dello sport dove si salta per aria anche per poco, sopravvivere fra mille difficoltà spinge a lavorare con i giovani,con i quali l’entusiasmo cresce come i fili d’erba su un terreno martoriato, il quale aspetta la tanto agognata primavera (non la pizza, meglio allora per quella gustarsi una margherita) per respirare e dare velocità ai garretti dei biancorossi. Il gioco non ragionato di Sannino, tutta corsa e scambio rapido, richiede che i gladiatori possano correre con le loro bighe su un panno verde e non sulla terra umida, ultimamente tramutatosi nel fango di Masnago. Il Novara capolista (non elettorale) aspetta ancora la prima infornata, pardon sconfitta , in campionato ed i giovani pizzaioli di Mister (no jega) Sannino mischiano gli ingredienti con il libro in mano che a volte si sporca di pomodoro e copre e le parole e con essa rende difficile la lettura , appannando la visione visto che la prime occasioni sono degli ospiti a causa degli scambi di porta che qualche varesino commette, la più grossa con un rinvio al contrario di Tripoli che sveglia il buon Moreau dal torpore causato dalla farina soave che scende dal cielo. Le mani in pasta le tengono a centrocampo Dos Santos, Torre di Babele davanti alla difesa, fornitore di palloni buoni per l’offesa e gran recuperatore di sfere vaganti sia a terra sia nel cielo plumbeo di Masnago, ed il filiforme Buzzegoli, pulcino bagnato nonostante la statura elevata e pronto a battibeccare qualunque cosa si avvicini alle sue leve. Mastro Sannino detta sempre gli ordini, quelli li scrive sulla calce Ebagua, spesso per le terre causa la marcatura modello francobollo stampato sulla lettera. Il brasiliano Neto sa il fatto suo e lotta al centro dell’attacco sulle palle alte per portare le basi le forme di pasta vicino al forno. E come si dice a Napoli, la pizza la pizza viene bene perché c’è l’aria buona e quella la porta il cuoco Sannino, proprio lui che viene da quelle terre che sanno di pummarola e mozzarella e getta gli ingredienti in maniera sapiente, mischiandoli quando sembra che non cresca la pasta. E Carrozza è la birra che fa lievitare l’entusiasmo e le speranze di un successo per entrare nel Paradiso dei play-off.
Il vantaggio nasce su una rimessa laterale contraria che il neo entrato recupera agilmente su una distrazione avversaria e con un dribbling in un fazzoletto spinge il pallone in fondo alla rete mandando per le terre Fontana, Caronte della barca novarese in mezzo al guado.
Tutta la panchina varesina corre in campo ad abbracciare l’eroe momentaneo con un entusiasmo che fa sperare in un arcobaleno improvviso, speranzosi che il cielo si apra.
Mai entusiasmo fu propugnatore di nefandezze tattiche con uno sbilanciamento in avanti, come un chico il giorno di Natale che scarta i pacchetti furiosamente e non si accorge che i regali sono rimasti sotto l’albero, nascosti fra gli aghi di pino. Ed i blu (triste in inglese) piemontesi ricevono il cadeau con un contropiede iniziato da una carica a testa bassa dell’ariete varesino e Gonzales davvero speedy, può scorrazzare libero nella Pampa varesina e la piazza in porta nel medio facile facile spegnendo il fuoco fatuo del trionfo. Il gelo davvero scende sugli spalti, dimenticando che le partite durano novanta (minuti) e sulla ruota biancorossa spesso i numeri giusti sono usciti in ritardo, se non nel tempo di recupero addirittura. Sannino ed i ragazzi ci credono, con ansia nella plaza, tutti avanti come nulla fosse successo mentre il Novara chiude il forno, pardon la porta di fronte,sperando che il terreno bagnato sia avversario ostico alle geometrie prealpine.
A dieci dal termine però l’amore per la porta avversaria, visto che si tratta di Eros (Pisano), sfila poco sopra la traversa maledetta, quel legno intriso di acqua che gonfia troppo la farina e fa venire il mal di pancia ai fegati di varese, rimandando il flirt con la Dea di Olimpo, lassù sulle vette della classifica che sfila sempre più distante. La prossima pizza verrà ben cotta, il pizzaiolo deve essere sapiente e lasciare la fretta a chi rincorre.

martedì 16 febbraio 2010

La rottura dell’incantesimo

La premiata fonderia biellese cerca di sciogliere le tensioni accumulate dopo tre sconfitte consecutive che sembrano aver rotto l’inerzia positiva dimostrata fino a metà stagione, intenzionata a consumare per l’ennesima volta sul proprio campo Varese, che non sfonda il muro di lana piemontese da diversi anni ed ha costretto i suoi tifosi a raggomitolare tristemente le proprie bandiere con sonori batoste. Nel nuovo Forum, il calore del pubblico si perde nelle volte del palazzo, travi portanti come il centro Pervis Pasco, omone mangia palloni e temibile come Moby Dick, la balena che il buon capitano Akab Galanda riuscirà ad arpionare con le sue possenti fiocinate da tre punti.
Cimberio produce rubinetti, ma sembra avere valvole difettose oggi, nel chiudere sulle triple di Aradori e Smith, elementi discriminanti nel segnare un parziale forse decisivo a cavallo fra i due quarti, quando gli stendardi biancorossi sembrano veleggiare verso il porto dell’ennesima sconfitta contro compagini in crisi di risultati. Mago Merlino non ha di nero solo il cappello, ma anche il volto di un Childress sempre più con la bacchetta, o meglio il calibro nelle mani grazie a dei palloni che vengono depositati nelle mani giuste, a volte del baby Martinoni, a volte degli esterni i quali ne fanno finire la corsa nel cilindro fatato da cui non escono conigli bianchi ma punti d’oro per ricucire lo strappo. Alcuni rimbalzi strani segnano il parziale di metà gara, che sarebbe eccessivo per un possibile recupero da parte dei varesini se la compagine fosse quella dello scorso autunno, invece sbucano dalla coltre nevosa primule biancorosse. Alla fine del terzo quarto la roulette è girata e sul panno verde i numeri del tiro da tre sono totalmente ribaltati, permettendo ai nostri prodi di mettersi avanti, fatto temibile per un manipolo di scudieri che si basano sulla generosità e sull’entusiasmo, il ricordo di Milano è ancora fresco nella mente di Pillastrini e stavolta sugli spalti il calore sale alle stelle mentre in campo le tensioni si accendono, gli arbitri sono simili a capistazione e qualche fischio scappa dalla bocca. Dario Argento riscrive uno dei suoi capolavori, Cotani si fa fischiare il quinto fallo in 5 minuti di calpestio del parquet e poi corre sotto il tunnel, mandando in confusione il cronista che non intuisce che si tratta di un’autoespulsione con tecnico accluso.
Sparire dalla mischia del gladiatore romano serve a non innervosire i ragazzi, un quintetto che da qui alla fine il coach di Cervia non cambierà più al grido di non si scende dalla barca. Anche il sottoscritto confidò al suo compare l’intuizione, non cambiare per sperare ed aggrapparsi al campanile fino a che non si tocca terra. La difesa si fa arcigna e Childress gioca come in NBA, si appoggia all’avversario solo quando il cronometro va verso lo zero assoluto e dopo un tiro sbagliato di Aradori, piazzerà la bomba del ­­più sei, facendo levare un arcobaleno colorato sotto la curva piemontese. La vita scorre lentamente quando si vorrebbe assaporare la gioia di stringere a sé una bella donna, l’attesa è fatta di momenti che solo il poeta può considerare come anticipazione di qualcosa che farà alzare all’orizzonte i lunghi sospiri, tramutandoli in reale soddisfazione. Qualche penalità in più allunga la vita biellese, ed anche una telefonata che giungerà al termine della gara, una cena sul lago diventerà una doppia doppia, come Randy Mago Merlino oggi ci ha regalato.

martedì 9 febbraio 2010

Ed alla fine il 12° mi tradì

Qual buon (Bene)vento sale dalle prealpi e chiede di non prostrarsi ai piedi dei guerriglieri di Sannino, rientrato al suo posto dietro le linee della zona di competenza dopo l’ennesima squalifica. Mister Camplone, ex del Pescara di Serie A sul finire degli anni ottanta diretto dal buon poeta Galeone, a dispetto del suo mentore, schiera i giallorossi campani in maniera molto ordinata, senza alcuna retorica e con molto fervore nel colpire le caviglie biancorosse. La partita non si fa cattiva a sporca, come le maglie dei varesini che per non perdere troppi palloni offrono le terga al campo fangoso già dall’inizio.
Atmosfera di alta classifica e di categoria superiore, direbbe il buon Ezio Luzzi, con numerosi tifosi ospiti in tribuna d’onore ed altri fuori dai cancelli, nonostante la trasferta fosse loro vietata. Ma nulla succede perché il Gruppo Comodo solleva il bandierone magico a coprire un settore della tribuna centrale, che profuma di anni passati gloriosamente e che si vorrebbero rivivere ben presto al Franco Ossola di Masnago.
Si parte alla carica come al solito, la davanti un trio nuovo per la platea con la macarena ballata da Neto Pereira, una carriera passata su campi di estrema periferia, ma segnata da annate fervide di segnature. Carrozza ed Aloe lo assistono sulle ali cercando di fornire traiettorie valide per la sua testa, con il giovane Buzzegoli pronto ad inserirsi da dietro su palloni vaganti come farà in un paio di occasioni nel primo tempo, sprecando malamente il succo della spremuta. I campani non si chiudono e non si offrono come vittima, ma in questo modo avvantaggiano il Varese che con palleggi eleganti si muove su e giù per il campo; in mezzo Dos Santos sembra Muller, non lo yoghurt e quindi tutt’altro che cremoso, ma come il vino, frizzante e con bolle, pardon balle messe in gioco appena stappi la bottiglia. Il primo tempo è piacevole e la difesa varesina mostra i suoi attuali limiti, frettolosa nei rilanci e mielosa appena il Benevento gioca palloni sporchi nel mezzo dell’area. SARA’ il secondo tempo a farci drizzare i capelli, per chi li ha, con Moreau che cerca di accogliere fra le sue braccia il gabbiano bianco, che con un battito improvviso va a gonfiare la rete e li terminare il volo radente sul tiro del difensore ospite De Liguori. La sua gioia non manda i varesini all’inferno, ma li accende come i galli nel pollaio appena la gallina canta. E Sannino è colui che canta e grida alla battaglia, sempre marcato ad uomo dalla giacchetta arbitrale, come una Sofia Loren appena ventenne.
Le avventure di Gulliver Del Sante iniziano appena subito dopo il gol subito ed i palloni fra i suoi piedi si trasformano in golose occasioni di viaggi verso la rete, ammarando però sulla curva del velodromo.
Ulisse viaggiò per anni prima di arrivare nella sua Itaca, così Neto decide di firmare il primo goal in una categoria che si comincia a pensare fosse sorda ai suoi richiami, e sul corner ennesimo, la mischia si accende su un pallone leggero ed il suo tuffo coraggioso lo porta agli altari della cronaca. Lo spavento scema a questo punto ed accecati dalla rabbia, il Varese si getta ancora in avanti, anima Bianca e cuore Rosso; le manfrine degne della Bombonera diventano minuetti che i giocatori campani praticano con esperienza, sempre più sacchi svuotati di ogni energia, bucati nell’orgoglio dalla rete subita quasi casualmente e per oggi può bastare così. Davvero il Vangelo mai poté essere indovinato nella scelta dei numeri…

martedì 2 febbraio 2010

Attivo o passivo

Domenica di ferro nel circo Barnum del Forum di Assago; Milano chiusa alle macchine ma non agli scambi proibiti (di colpi) sotto i canestri fra due squadre fisiche (Milano) ed una fiorettista (Varese). All’andata all’ora di pranzo, i biancorossi varesini fecero il colpo ma allora Slay sotto le plance colpiva e subiva senza problemi mentre stavolta il Tusek ed il Galanda usano l’esperienza e la conoscenza del corpo umano per non scadere nella tonnara. L’ora celerina non avvantaggia i giochi a due di McGrath (poi Childress) – Galanda e si cerca di svegliarsi da un brutto sogno per i meneghini, che sembrano ancora essere sotto le coperte in cattiva compagnia, di una possibile doppia sconfitta nel derby stagionale più importante, cosa che non accade dalla notte dei tempi. Al festival del masochismo si iscrivono molti giocatori, passaggi a vuoto, palloni per terra, tiri falliti durante contropiedi di riscaldamento , ma il pubblico sembra non accorgersi e mentre Ronald invita i bambini a scaldarsi, Milano si porta avanti casualmente alla prima pausa e pure alla seconda quando, da una rimessa da fondocampo i meneghini scavalcano la retroguardia prealpina appoggiando al tabellone per il più nove di parziale. Intanto la pantera Morandais era già uscito dalla gabbia, con le sue triple da urlo che cominciano ad essere fatto da prestazioni attesa mentre Titty Thomas cerca di scappare dai lupi meneghini con molta fatica e scarso risultato e si limita a beccare il pezzettino di miglio (non Verde), vedesi braccia degli attaccanti meneghini.
Varese offre la schiena ai milanesi, che li mettono a gambe all’aria quando vanno sul + 9, facendo sembrare la lotta apparentemente impari. Ma un Morandais ed un Tusek selvaggi scombinano i piani maschilisti dell’Olimpia e fanno mettere il becco avanti alla Pillastrini band. Sugli spalti sembra che la fuga in avanti sia quella decisiva, ma il prode Becirovic, ex di lusso della sfida, riprende per mano la squadra con assists semplici ed efficaci ed un parziale di 12-0, di cremonese memoria, ribalta le gambe varesine. Qui inizia un balletto fra i realizzatori da tre punti, avanti e indietro senza sosta, ma un rimbalzo scivoloso scappato dalle mani di Galanda, fornisce a Mordente (mai cognome fu più azzeccato oggi) la tripla decisiva che chiude la gara a poco più di un minuto dalla sirena finale.
I liberi tirati e le triple di Thomas servono solo per il tabellone finale e Milano rimane sopra su una Varese che offre il suo corpo ancora caldo.

Ra(ndo)lph Super Maxi Eroe

La Ministra Gelmini sarebbe stata contenta di non dover pagare una lezione supplementare in virtù del taglio del tempo prolungato, ma questa volta il Professore arriva in classe come consulente portandosi i libri da casa sotto il braccio e caricandosi sulle spalle una squadra finalmente al completo. Sangue ed Are(n)a, Galanda – Tusek coppia di vaccari per gestire la bestia chianina Williams (e non anche Lawson….) sotto i tabelloni e tirargli la corda al collo facendolo correre dentro e fuori dall’area pitturata, mossa che si rivelerà determinante nelle fasi finali della gara nelle quali il non più tonico centrone americano si farà beccare con la testa nella biada con un sempre raro 3-secondi fischiato contro ed una mancata difesa sulla moneta pesante Marco (Tusek) che marcherà con conio pesante (vedi bomba) il pareggio.
Si inizia il match con le teste reclinate sui libri, ma il troppo stroppia ed il pigmeo Green vede bene i palleggi dello starter McGrath e facile facile gli soffia la merenda andandosela a mangiare in solitaria sotto il banco. Il preside Pillastrini deve pertanto proporre con saggezza il Professore, Ordine e Progresso, non il motto del Brasile (Magnano insegnerà laggiù l’Arte del basket), ma la disciplina tattica perché la lezione non si dimentica e con gli assists fantasiosi di Randy, Varese si stacca dal molo pesarese e porta la barca a remare grazie a tiri dalla distanza della pantera Morandais e del buon Thomas, anche stavolta impegnato a mordere i garretti del cannoniere ospite Hicks. Galanda non perviene in attacco ma in difesa si danna l’anima, menando a destra e sinistra e arrivando a boccheggiare, stavolta non sarà MVP ma in questa squadra non contano i titoli ma i fregi arrivano sul petto per il sangue che si sputa.
Fra tremori per il freddo , il meno sette a cinque dalla fine sembrano come l’Everest, e l’attesa per le mosse di un Pillastrini, per il quale qualcuno fra il pubblico sta cominciando a storcere la bocca, appare lui, vestito con il mantello dell’eroe della giornata, dopo una settimana passata a leccarsi le ferite e ripulirsi delle macchie di torrone cremonese, il Professore che entra in scena quando i buoi sembrano scappati e con l’arte di chi sa sempre quel che sta facendo, piazza da solo un parziale di dieci punti , condito da un assist al bacio (perugino) per il pareggio di Tusek. L’errore sul primo libero del possibile + 4 sembra farlo sembrare un Clark Kent senza ragnatele per salvarsi , ma sull’azione successiva, la difesa forte seppure con certi vuoti, trasforma il tiro di Hicks in un cross che fra le mani di Galanda si spegne e porta i ragazzi in trionfo. W Childress , viva il Professore, bentornato , le tue lezioni sono sempre attese e tutti ci sediamo ad ascoltare.

martedì 26 gennaio 2010

Cuore caldo e Crema freddato

Freddo intenso non nei cuori del pubblico varesino che saluta una giovane morte portandone il ricordo sugli spalti con dei biancorossi palloncini che volano nel cielo prima del fischio d’inizio. Le speranze di promozione diretta sono anch’esse quasi volate nella doppia trasferta dell’Italia centrale dove il Varese ha mostrato un buon gioco ma raccolto pochissimo come sembra si possa raccogliere oggi poiché il ghiaccio nella Crema si scolorisce soltanto. Si aspetta il gioco frizzante, ma solo le bolle del campo si mostrano agli occhi varesini, un terreno per panzer dove i pesi piuma Aloi ed Eliakuw sbarcano per la prima casalinga, inseriti senza remore da Sannino in un impianto di gioco fatto di protagonisti capaci di salire sul palco e sedersi dietro le quinte senza colpo ferire. Un primo tempo che pattina, ovvero scorre veloce sulle piste battute dalle ali varesine, con il solito Tripoli a svariare, pronto ad evitare l’alce sotto cui rischiare di finire schiacciato. Ospiti particolarmente barricati ma ordinati nel chiudere i varchi al bisonte Del Sante e ad un Dos Santos in cerca di una marcatura pesante ed interessatamente cresciuto in questa fase del campionato.
Bolle in pentola l’acqua per un calientissimo thè purtroppo all’inglese data la mosciezza della situazione ed il Pergocrema si inventa un goal alla Subbuteo, noto gioco che ha preso il nome da un falco che quando becca, punge dolorosamente e con due passaggi succhia il sangue ed azzanna alla carotide la difesa biancorossa con Cazzola imbeccato (scusate il continuo accenno al rapace) dal cannoniere Le Noci. Forse il torpore si annulla dalla rabbia per un’azione casuale che sembra accendere l’undici prealpino alla ripresa della contesa.
Mister Sannino nulla cambia in apparenza, ma le motivazioni si fanno forti perché un record può essere migliorato ed alzare l’asticella renderebbe l’annata del centenario speciale. Il tempo passa ed infuria la bufera, cantavano al bar di Morazzone negli anni che furono, tempesta calcistica per intendere la furia di cercare caviglie e mezzibusti varesini bloccandone l’ardore. E l’espulsione ennesima del condottiero sembra benevola perché se una telefonata ti allunga la vita, un Saraceno in meno scalda la torcida di Clayton che trova il rimbalzo e l’angolo giusto per battere il gladiatore ospite. Le danze sono aperte e si sale in Carrozza per il prossimo balzo, l’ideatore di un’azione che porterà al penalty sul quale Buzzegoli, memore del precedente errore, tira una riga, pardon un rigore lemme lemme di fronte a sé, facendo salire gli angeli in Paradiso e portando il perdo, ops il PergoCrema a liquefarsi. I Campanili nel recupero non sono costruzioni architettoniche ma allontanano i fantasmi e di bianco rimane solo il campo, dopo novanta minuti di dolci minuetti e spaccate rockettare.

martedì 19 gennaio 2010

Il freddo e la bestia

Posticipo serale per i biancorossi in quel di Arezzo, con le telecamere di RaiSportSat a riprendere per la prima volta i giovani di Sannino, schernitosi in conferenza stampa prima della gara poiché non considera fotomodelli i suoi sgambettanti moscerini e con il ritorno della pantera nera Ebagua la davanti, pronto a graffiare. Brividi caldi al 11 su tiro dal limite dell’argentino Erpen con Moreau che va a rilassarsi sulla linea con il pallone dormiente fra le sue mani. Ed i bianchi non inglesi ma calienti rispondono sulla dormita difensiva con Buzzegoli che va ad appoggiarla verso il palo. Ma sul ribaltamento di fronte, un’azione fortunata porta l’Arezzo avanti nel punteggio con un gran gol di Chianese a cui la categoria poco si addice ma non la TV, che mette all’incrocio in estirada e Moreau nulla può su tale sventola. Le proteste per un presunto fuorigioco si spengono come un fuoco fatuo e Sannino nulla fa per accendere gli animi contro la terna ma pensa alla prossima mossa, cioè l’attacco ragionato come alle Termopili.
Il palo colpito dal tiro di Ebagua lascia di stucco la difesa granata perché gli scanzonati biancorossi non si spaventano di fronte all’arena e il gioco orchestrato da oro Zecchin è limpido a 24 carati. La palla gira rapida fra i piedi varesini ed avvicinarsi all’area sembra così facile nonostante la massa corporea degli attaccanti, elefanti per superare le Alpi. Tripoli e Zecchin giocano al gatto con il topo spostandosi da una fascia all’altra, che per il momento sembrano la Gravellona Toce di notte. Doppio colpo per Ebagua che vede il suo appoggio verso la porta bloccato da Mazzoni che prima di gambe e poi goffamente con le braccia permette alla porta toscana di non essere violentata. Ed a viso aperto, pardon, di terga, Camisa salva il risultato su un tiro a porta vuota di Erpen, che avrebbe stecchito la colomba biancorossa al termine della prima parte della disfida.
La seconda frazione riparte come la prima, arrembaggio ragionato e Sannino decide di cambiare i guerriglieri con Zecchin che si va ad infagottare e Corti che ritorna dopo qualche mese per stare sulla fascia, dove il Varese trova gioco e palloni da scodellare al centro. La pantera è in agguato ma la preda (il gol) poteva essere raggiunta se la bava alla bocca non lo avesse portato quel mezzo metro in avanti come nel gol annullato su assist di Del Sante.
La belva ruggisce e l’Arezzo si rintana, non per il freddo ma per gli artigli che il Varese ha sempre in mostra, a graffiare palloni cercando le ghiande anche quando sono sottoterra, ma come l’orso cerca la grotta nella quale stare per qualche mese, negli ultimi venti minuti si va tentoni per terra lungo le piste e nulla stringe Momentè per il quale il luogo più adatto sembra la panchina.
Finisce in gloria per i granata, a mani vuote si rientra alla base dopo una settimana stressante ma che ha mostrato come il Generale Patton sappia tenere il bastone del comando aspettando nuovi granatieri.

lunedì 18 gennaio 2010

Ora buca in classe

Nella città del Torrazzo manca proprio la Torre varesina Tusek che farà sentire la sua assenza sotto le plance dove un mestierante come Cusin si trasforma in un Gasol, anzi in benzina per il motore cremonese che necessita di linfa nuova per rimpinguare una classifica scarna; nello scontro diretto fra le neo promosse, i vanoliani partono a razzo e il fraticello Thomas piazza subito il suo marchio di fabbrica, la bomba in transizione, sintomo di egoismo e di riscossa dopo la partita contro Cantù che lo ha visto sacrificarsi in difesa. Si balla la samba in difesa da una parte e dall’altra , con Cremona che si iscrive alla gara della schiacciata ed il Prof che tarda ad entrare in classe mentre Antonelli rimedia subito le note (vedi tre falli fischiati in poco) da parte della terna grigia.
Quando Varese stringe le maglie in difesa ed allarga il gioco, il parziale di 15-0 è un gioco da ragazzi e Pillastrini si lucida il panciotto e comincia ad assaporare il salame di Cremona (alla voce Forbes) , americano impresentabile anche per una squadra di college. Ma a sedersi dietro la cattedra arriva il buon McGrath, che tiene il gessetto in mano in attesa che arrivi la persona a cui compete ed i biancorossi godono di questa freschezza e tutto sommato scolastica regia, puntuale ed efficace ma non appariscente. Sennonché le partite durano 40 minuti ed il dolce Varese rimane troppo all’aperto, prendendo aria e indurendosi, con pochi tiri e molto palle perse mentre il Torrazzo si raddrizza con un parzialone di 17-0 che non si vedeva dall’anno tragico della retrocessione e si va al cambio di campo con il minimo distacco.
Alla ripresa il Prof latita, le mani sembrano intorpidite e Cusin mostro bimane si erge a paladino del canestro (alla fine la sua valutazione sarà fantastica) mentre la pantera Morandais si perde nella savana delle mani avversarie; i lunghi varesini, già corti, si fanno beccare in posizioni di facili costumi e la loro partita la passano spesso in panchina, magari definitivamente come Panzer Cotani, carro armato biancorosso nell’area ed utilissimo in una sfida d’altri tempi. Ciò porta le squadre a giocare a punto e croce, cercando di costruirsi la coperta per riscaldare la graduatoria, per vedere la luce nella nebbia padana. E quando il Prof Childress fa capolino in classe per gli ultimi istanti della lezione, il gesso , pardon il pallone, gli scivola dalle mani e chi lo raccoglie non arriva alla lavagna in tempo, anzi al canestro, vedi tiro dai 7 metri di McGrath che dimostra coraggio ma Sant’Antonio per stavolta ha bruciato ogni fascina ed il torrone rimane sullo stomaco, ancora una volta.

mercoledì 13 gennaio 2010

La fattoria degli animali

In un derby privo di ostilità sugli spalti, i lariani ed i varesini affondano i colpi su un terreno infame causa le lacrime di Giove Pluvio scese fino a poche ore prima del match e nella foresta del centrocampo si scontrano i tacchini azzurri contro le pantere bianche di Mister Sannino, rimasto in giacca fin dall’inizio sfidando i rigori invernali e sfogando il calor bianco che tiene nel suo corpo da marine. I biancorossi subito all’attacco presi dall’ormai noto vortice casalingo ed all’inseguimento del decimo successo consecutivo che costituirebbe record assoluto per ogni campionato professionistico italiano. I minuto scorrono lenti e le azioni si svolgono in maniera apparentemente scolastica con passaggi da una fascia all’altra del campo , intenti a scardinare la porta (basculante) comasca, alle prese con cambi di giocatori nel ritiro invernale di Roma, fatto di fughe improvvise da parte di elementi essenziali e con l’arrivo di possibili crack per riordinare una classifica molto deficitaria.
Nel fango di Masnago le lepri varesine Tripoli ed Armenise rendono le corsie un sottobosco florido di cross per la testa della tartaruga Momentè, rapido come la testuggine e per il cobra Del Sante, non più velenoso come nella stagione passata ed obbligato a sostituire la pantera nera Ebagua, fermo nelle stalle causa una stupida espulsione subita nell’ultima sfida casalinga contro il Lecco. Al 26° il Varese passa con un’azione da lotta nel fango, il pallone si blocca in mezzo all’area e Del Sante lo scucchiaia alle spalle dell’estremo difensore lariano., levando l’acqua dal palo e poi dalla rete ospite. Sembra che il Varese sia stato padrone del campo, ma va ricordato che le due grosse occasioni da rete sono state precedentemente sventate da Moreau, gatto rientrato a tempo di record dopo l’operazione al menisco di fine dicembre e da camaleonte Bernardini, immolatosi sull’altare pagano.
Così la paura non fa 90° per ora ma solo 45 perché il Como sembra poca roba dietro, ma quando mostra gli aculei, risulta fastidioso sotto porta con palloni vaganti che i giovani fanno fatica a gestire. E dal tunnel stile anni 70 del Franco Ossola escono ancora più deboli i biancorossi che cercano di creare la savana nella quale far perdere il pallone e ritardarne il rinvio verso la propria area e per molto tempo le formichine del centrocampo si azzannano per un pezzo di pallone , ops di pane, fino a quando a metà della seconda frazione i comaschi aumentano la pressione e sui calci d’angolo il freddo è dato dal sudore che scende dalle fronti del pubblico varesino mentre i mediocri lariani sembrano le fiere più imbelvite del Colosseo. E meno male che i comaschi rimangono verso l’80° in dieci causa un infortunio muscolare ed avendo già provveduto alle regolamentari sostituzioni, la pressione sembra alleviarsi se non che ci si mette pure Del Sante a prolungare l’agonia grazie a due errori clamorosi, mangiandosi due gol di fronte al guardiano del faro mentre Tripoli lenisce la sbarra superiore con un piattone da fuori area.
E quando in pieno recupero Pisano tocca con il braccio un pallone non del tutto innocuo, l’arbitro si trasforma in topolino e si rifugia nel buco del fischio finale lasciando il formaggio molle ma dolce della vittoria al Varese che stabilisce l’impresa mai così tanto agognata. Per questa volta poco biancorosso e tanta fortuna, questione di gambe, diceva quella canzone famosa….