Due cubetti di ghiaccio

Da questa settimana fino al limitare delle sue forze la voce della Pampa disporrà di una rubrica fissa nella quale con ironia ed un po’ di pepe commenterà le prestazioni sportive delle compagini varesine. Il titolo nasce dalla fervida fantasia del gaucho che, al calar della sera, è solito metter del ghiaccio in un bicchiere e gustarsi un tonico ed analizzare con sagacia le prestazioni sportive delle squadre prealpine. Il nome potrebbe far pensare ad articoli di facile lettura, in realtà il ghiaccio sciogliendosi nel tonico e cambiando lo stato , diventa di difficile separazione visiva rispetto alla sostanza iniziale…..

giovedì 27 gennaio 2011

Percorsi Alternativi

Sulla strada ferrata che porta alla Serie Maggiore, i bergamaschi devono sorpassare il passaggio a livello biancorosso, fresco domatore del Torino miliardario di Cairo. Pesoli si fa male nel riscaldamento e Camisa si toglie la tuta e indossa la fascia dopo diverse settimane per assaggiare il calore dello stadio orobico e fronteggiare le punte non proprio di serie cadetta.
Non si trema davanti a Zappino, uomo ragno che pulisce l’area dai palloni pericolosi spediti dagli avanti a strisce neroazzurre. Dos Santos afferra per mano il suo capitano, portandolo sulle tracce di Tiribocchi, sapiente nell'usare la potenza mentre Marilungo non giustifica l’impiego di così tanto capitale se non in un paio di allunghi da quattrocentista.
Sannino è presente a bordo campo, ma i suoi ordini paiono inascoltati per una squadra che si chiude a riccio e così l’Atalanta si porta in massa nella metacampo prealpina per strappargli gli aculei. Ebagua si estingue causa la carestia di palloni che le ali biancorosse paiono preferire per sé stessi mentre Corti, sentendo il richiamo della battaglia, si assesta sulla mediana a bloccare ogni intervento offensivo.
Poche sono le occasioni per gli orobici e solo dei corner temporanei sembrano essere stimulo per pungere. Zappino ci fa tremare in un paio di occasioni quando si paracaduta là al di fuori della dogana, ma la difesa sua è abile a sbrigliare senza chiamare l’aiuto del finanziere.
Alzare la manovra porta a pungere nel cuore della Bergamo nobile, con un cross azzeccato di torpedo Carrozza che porta sulla testa del nano Zecchin un pallone buono per un ariete. Ma qui si trova un topolino che gira a lato perché il suo mestiere è morsicare i garretti e non affondare i denti.
Così la pausa ci viene incontro senza patemi, si potrebbe dire che andiamo alla vigna del Signore con passi lenti perché le sorprese non vengono se si conosce la strada e la fede ti aiuta. Colantuono può cercare di cambiare i suoi assi sul tavolo, memore di polemiche agostane da lui provocate e se il Varese si mette a fare la sua partita, l’ingresso di Doni, ora etichetta che luccica contro i plebei, tende a mettere in guardia sé stesso. Infatti i prealpini sentono l’odore dell’animale avvicinarsi alla trappola e le sua ali spingono con voracità, valendo Carrozza e Zecchin come incursori giusti per la torre Ebagua.
Ma il Giulio non gobbo litiga con le sue pantofole dorate e anziché calciare la sfera, si arrabatta con il terreno per rimanere in piedi; nemmeno il coniglio bagnato Neto si sottrae e le sue svolte repentine con la palla ai piedi paiono passi di macarena estiva.
Il tiro di Frara su illuminazione di Carrozza pare un tracciante diretto all’angolo, sennonché Consigli da provetto estremo leva la polvere dal palo respingendo con stile.
Così il profugo Doni può diventare l’emblema della gara, trovatosi faccia a faccia con Zappino che lo intimorisce con i suoi piedoni e l’eroe greco può buttare a fondocampo un pallone già timbrato dalla Curva Nord atalantina. Nulla più si chiede alle due compagini, lottatrici sul terreno, presunto pesante da chi usa le parole per vincere a tavolino, ma oggi Davide è il vero eroe, sul monte Parnaso la Dea non è ascesa.

sabato 22 gennaio 2011

Corsia Prefenziale

Correre sul filo del rasoio con un coltello che t’insegue, che ha i colori biancoblù e il cui manico è nelle mani di Trincheri, coach della nouvelle vague, filosofico come fu Valerio Bianchini, preparatore molto più di allenatore, che usava le parole per prendere rimbalzi e la lingua felpata per rubare palloni, molti di più di quelli che avrebbero potuto sottrarne i suoi scagnozzi in pantaloncini.
Recalcati si siede su una panchina che è calda per la serie negativa, fatta di sconfitte a bruciapelo e di cerotti che accarezzano la pelle dei suoi giocatori, legandoli alla panchina senza dare contributo.
Così il derby sembra ancora di salvezza, una partita che serve a esaltare i vecchi leoni, dalla barba folta da cui scende bava. Galanda lo dimostra subito con un paio di canestri a cui Micov, nome farmaceutico, risponde con perizia e la partita comincia a correre, anzi scorre più sangue che punti perché ogni gomitata vale più di un canestro e nulla si deve centellinare su quest’altare. Goss pare ispirato dalla luna invernale, che appare da dietro la foschia e si mostra nel suo bianco splendore.
Le sue azioni contribuiscono a far ritrovare un sorriso perduto sugli spalti, dopo prestazioni prive di verve e quando si alza il naufrago Thomas, in ginocchio è il caso di dirlo, è lampante come contino le motivazioni, serie e fortificate dalla tensione.
E un paio di canestri con tiri in avvicinamento dimostrano che anche il minimo sindacale oggi è prezioso, quanto mai per azzannare i canturini e fargli sentire il fiato pesante sul collo.
Con Slay che appare un bel rimorchio per Marconato, il quale preferisce transitare a distanza di sicurezza onde non subire il colpo d’ali dell’uomo del Tennessee. A furia di accelerate e frenate, la disfida rimane al casello, per ripartire dopo la sosta e allora a piazzare un balzo oltre l’ostacolo ci vuole Goss in versione folletto, la cui fiaba si manifesta con il tiro della speranza da oltre meta campo allo scadere.
I biancorossi corrono nello spogliatoio lasciando esterrefatti i brianzoli, inconsapevoli di ciò che lo sovvertirà a posteriori. Il terzo quarto, quello temuto dalle schiene e dalle ginocchia varesine, tiene unite le due squadre; triple prealpine squarciano la zona di Trincheri mentre Micov e Leunen paiono extraterrestri planati su Masnago. Orbene, l’ultima pausa fa dilatare i gomiti degli uomini di Charlie e i corpi varesini paiono di gomma, piegati in difesa a rubare palloni e scattanti in attacco per giochi a due altamente provocanti.
Slay pare al parco giochi, dove senza la sua presenza non si ha possibilità di aggrapparsi ai tabelloni e la cattiva e con chi prova a opporsi per ristabilire i diritti. Dall’altro lato del campo Goss si violenta fisicamente con tiri fuori controllo e serpentine lontane dalle manone canturine; il suo score segnerà 26 punti totali e un mare di furti non punibili perché depenalizzati, lo eleggeranno uomo partita, salvando la squadra dalle secche invernali.
In più il divario si fa ampio, gioia e goduria per il proprio pubblico ultimamente rimasto scioccato dagli ultimi minuti e così possono sventolare le bandiere biancorosse. Ci si spella le mani per l’uscita dal campo del folletto nero e Slay ci fa accapponare la pelle, da vero capopopolo quando provoca e deride Leunen fin davanti al tunnel a fine gara.
A pranzo si sta a gambe larghe, il piatto sarà succulento. A presto!!

giovedì 20 gennaio 2011

La difesa della riserva indiana

Colpire e stupire: questo è il messagio che il Capo Sioux Sannino consegna ai suoi pellerossa (e bianca) prima della sfida storica. I granata sono in serie positiva da dici turni mentre il Varese ha appena interrotto la sua striscia nell'infausta discesa sotto il Po in quel di Piacenza.
Tornano Zecchin e Neto, uomini necessari per respingere gli invasori oltre la riserva di Masnago, imbattuta da più di due anni, record europeo dei campionati professionistici. Novità ulteriori non ve ne sono e non sono necessari, perchè il mecccanismo è oliato e la catapulta offensiva funziona con l'asse brasiliano - nigeriano Neto - Ebagua, la cui intesa vincerebbe ogni gara a Stranamore.
Poi si scende nell'arena e le carte da giocare paiono truccate, con un Torino da alta quota e pronto a mangiarsi la pecorella biancorossa; aggrapparsi al pelo permette di azzannare con facilità e calm l'animaletto, indifeso e timoroso di fronte ai titolati granata. Coraggio invece non difetta ai piccoli indiani e Zappino sbarra l'ingresso a Sgrigna con un tuffo alla sua sinistra, portando con sè gli applausi di una Masnago tutta esaurita (8000 son tanti di questi tempi).
Ancora si prolunga l'attesa per il primo tiro verso l'estremo ospite ed il più piccolo Corti appoggia di testa fra le braccia di Bassi perchè possa accogliere la sfera. Dovrà poi vedere i sorci verdi sul tiro deviato di Frara e la velocità rallentata lo salverà dalla capitolazione, indi per cui i minuti finali sembrano quelli in cui la gallina cova le sue fatiche.
Zecchin trattiene il pallone a mò di giocata rugbistica e l'accorrente Frara spara secco e preciso aprendo la difesa ospite per l'esplosione dei biancorossi. Colpire la bestia con un dardo quando il recinto  è aperto, significa lasciarlo rantolare e prolungare l'agonia. Il veterinario Lerda cerca di lenire nello spogliatoio la ferita, ma dopo la mediazione l'animale pare narcotizzato e Dos Santos, abituato nella foresta amazzonica a rincorrere bestie ben più feroci, raddoppia il dardo mefistofelico con una cornata sul primo palo.
Ancora il piccolo Zecchin è stato il geometra preciso che con filo a piombo indirizza un cross pulito in un'area desertifcata.
Il raddoppio apre un'altra partita, i valori delle figurine Liebig non hanno alcun senso; le fasce diventano terreno di conquista per Carrozza, abile a saltare i paletti granata nelle sue discese mentre Zecchin apre il centrocampo come il coltello nel tacchino di Natale. Il Toro si sgonfia in un amen e Bianchi rantola nell'avamposto, ergendosi sul carroarmato senza colpo ferire.
Arriva poi l'espulsione del Mister Sannino, focoso come sempre ed in difesa dei suoi ragazzi, figli aggiunti da offendere e difendere. Da sopra la tettoia continua ad agitarsi, indicare e cambiare le carte in tavola; Concas debutta per uno stanco neto e in un paio di contropiedi trasforma in oro un traversone effiemero di Carrozza.
E sono tre, disse Martellini in una sera di luglio; la notte è calata per il glorioso Torino sul terreno di Masnago e ciò che segue è passerella per i biancorossi. In alto le mani, scavati la fossa vecchio cuore granata, il giovane pistolero ha vinto.

venerdì 14 gennaio 2011

Porte da varcare

Freddo e umidità ci accolgono sotto il Po nella prima dell’anno nuovo, per confermarsi oltre la classifica che i soloni decrittavano nel caldo di agosto. Qualcosa manca nell’undici di Sannino, pedine e uomini, perché Neto e Zecchin si possono regalare nei fustini del detersivo, non in una partita tesa come quella contro gli emiliani, affamati di punti come nella guerra dei forni nell’antica Parigi.
Il trio piacentino, Guzman – Cacia – Graffiedi, mette paura alla difesa biancorossa, ma dietro gli uomini di Madonna propongono vuoti meglio di uno scolapasta. Nadarevic non è esule nemmeno nella formazione varesina e punta il sette ospite con forza e nervi, alternandosi a un Carrozza fresco rientrato da un infortunio e poco incline a passarla, memore di serpentine che oggi appaiono più prevedibili.
Così il tempo trascorre nell’attesa di una nostra marcatura e sugli spalti si rimane ben fiduciosi sennonché un paio di dimenticanze nelle retrovie varesine appaiono sordi campanelli d’allarme.
Ci vuole una sospensione furtiva per dei problemi nel settore misto, frutto d’incapacità organizzative e codardia nel decidere. L’arbitro sospende la contesa per qualche minuto, dando motivo di maggior tensione e forse la paura aumenta la carica dei tristi piacentini, timorosi di svegliare l’orso varesino, uscito dal letargo della pausa con un po’ di bava in meno.
Ecco che parte Guzman sulla sinistra alla ripresa e Pesoli ci sorprende con la prima mancanza della stagione e sul traversone che ne consegue Cacia, più adatto a palcoscenici regali, appoggia in estirada sotto la traversa e Zappino nulla può, se non protestare per qualcosa che non si capisce.
Salgono i borbottii sugli spalti marcati Varese, la sorpresa è grossa perché si vede smarrito il gioco illuminante che ci ha accompagnati fino a dicembre; Ebagua è ancora sotto le coperte e allora un buon cross per la pulce Tripoli diventa oro luccicante. Il fischietto ferma l’azione per un abbattimento furbesco o forse errato e sale l’attesa, si vede il meritato pareggio ma si teme per la tensione del tiratore, Capitan Buzzegoli, giocatore e uomo boa su cui ricadono i giudizi contrastanti del popolo.
Essere o non essere, questo è il dilemma e un pallone da calciare verso gli undici metri costituisce il viatico per la buona uscita. Gli astri sono favorevoli e vedere Cassani superato da una botta secca e tesa fa levare in alto le braccia di noi tifosi mentre altri arti sommergono il capitano in quello che sarà la sua ultima segnatura.
Sannino non pensa a rilassare la sua ugola e fuori dalla panchina disegna geometrie nell’area tecnica, che i suoi allievi paiono male interpretare in quest’arena infreddolita.
Giunge la pausa a sciogliere le menti obnubilate dagli scontri e dal gol di Buzzegoli, che pare messaggio in codice per qualcuno.
E quando si ricomincia la sortita, il buon capitano lascia il destino in mano ai suoi compagni, improperi generici scendono dalle tribune mentre il povero Sannino si apprestava alla staffetta del sabato. Frara entrerà di lì a poco, per disegnare con il compasso passaggi calibrati e atti a non offendere mentre in avanti Ebagua partecipava al sabato del villaggio standosene seduto fuori dalla porta di casa.
Carrozza metteva il motore a due cilindri e il bosniaco fresco di nomina prendeva a spallate gli avversari. Si arrivava al limite del fiume e il nulla di più pareva accomodare anche i padroni di casa, dopo che in alcune occasioni Zappino fresco sposo non porgeva il cuscino con gli anelli.
Quando Armenise era spedito in campo, la beffa si faceva reale; un corner strano finiva il Varese, mandando la difesa in barca e sull’ascensore saliva Anaclerio, portando salva la scialuppa piacentina. Male era iniziato il giorno e peggio finì, con la tragicommedia senza eroi positivi.

giovedì 13 gennaio 2011

Il Saluto

Una traccia lasciasti sul terreno
e là dove gli angeli cantano
si concluse la sua traiettoria.
E la ripetzione ci consacrò,
solennemente al livello dei professori,
ridandoci la gioia perduta
del tempo che fu.
E poi riapristi la storia,
nell'Olimpico notturno,
e gli anni erano passati,
ma pochi mesi
bastarono per farci sognare.
Asso te ne sei andato,
ad illuminare geometrie altrui,
con un domani che ci lascia
in attesa speranzosi.