Due cubetti di ghiaccio

Da questa settimana fino al limitare delle sue forze la voce della Pampa disporrà di una rubrica fissa nella quale con ironia ed un po’ di pepe commenterà le prestazioni sportive delle compagini varesine. Il titolo nasce dalla fervida fantasia del gaucho che, al calar della sera, è solito metter del ghiaccio in un bicchiere e gustarsi un tonico ed analizzare con sagacia le prestazioni sportive delle squadre prealpine. Il nome potrebbe far pensare ad articoli di facile lettura, in realtà il ghiaccio sciogliendosi nel tonico e cambiando lo stato , diventa di difficile separazione visiva rispetto alla sostanza iniziale…..

lunedì 22 novembre 2010

Sugli irti colli

Si rivede l’Ascoli e le sue colline splendide, portatrici di serenità e leggere brezza che consigliano spesso di sedersi a tavola per passare pomeriggi distensivi, esattamente quello che vorrebbe trascorrere la compagine biancorossa in casa di una formazione che, come i russi, una volta chiusi nella sacca di Stalingrado, seppero trovare le energie per risollevarsi e salvare un’intera nazione, così i bianconeri sono impegnati a continuare la risalita nella classifica dopo la mazzata della penalizzazione.
Castori chiede orgoglio ai suoi ragazzi, fra i quali manca in partenza l’ex – astro nascente Lupoli, tenuto in caldo per essere sfornato sul campo pesante quando le menti saranno annebbiate e le gambe appesantite. Mister Sannino vuole invece continuità e una prova di maturità, perché l’alta classifica può provocare momenti di asfissia, causa l’aria rarefatta.
E così dopo pochi minuti l’azzoppamento di Ben Hur Osuj provoca uno sfasamento dei piani tattici: Corti si alza come ricambio originale e Sannino lo avvita nella medesima posizione per non rompere il meccanismo. Ciò che conta sono i tre cavalieri davanti a tutti, sempre in sella grazie alla sintonia nascente dalle giornate trascorse assieme a cavalcare e procurare dolori ai difensori ospiti.
Si cade nel tranello di ingollarsi i marchigiani come succulente olive ascolane, sicuri poiché proprietari d’idee di gioco fantasiose per la categoria. Palla fra i piedi dei varesini, con trame mosce a centrocampo dove il fosforo si accende come un fiammifero in una serata ventosa e poi, coperto il cerino, s’infiamma il gioco sulle fasce grazie alle opere di Zecchin, primo flautista nell’orchestra sanniniana. Il piccolo Cellini appare un oboe turato al quale il pallone è disturbo per la sonata e Neto, violoncello per motivi ispirati a un tango devastante, sembra oggi più adatto a un triste fado, eseguito per lamenti e lacrime salate.
Dall’ultima fila del palco esce ancora la zanzara Tripoli, maracas agitate da polsi nervosi e il pallone scagliato verso la gabbia ospite è intercettato nel corso dell’azione più eclatante della contesa dal portiere in posa poco tecnica. Si va alla pausa dove gli strumenti rifiatano nell’attesa del tenore Neto, oggi uomo normale e non all’altezza del palcoscenico scaligero.
Sannino ritiene che non sia il caso di scuoterne ulteriormente le fila, facendo prevalere l’armonia e così ci si emoziona per lo stop dato dall’arbitro che, bontà per noi, ferma l’Ascoli nel corso di un rapido contropiede, frapponendosi nella manovra e bloccando la sfera, fino a lì più biancorossa che mai. A Zappino resta il piacere di suonare il triangolo con le sue mani poco galanti con i padroni di casa e benedette sotto il Sacro Monte; Zecchin da il là e altre note con i lanci per la zucca di Tripoli, opera non sua visto il risultato finale e la nota stonata rimane sui piedi di Cellini, incapace di smentirsi e sul cui tiro a lato, purtroppo si spegne la sonata in minore di un Varese che sembra opera inconclusa poiché il suo direttore d’orchestra aspetta di innervare con un pizzico d’improvvisazione una compagine che ci farà godere nei prossimi mesi.

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