Due cubetti di ghiaccio

Da questa settimana fino al limitare delle sue forze la voce della Pampa disporrà di una rubrica fissa nella quale con ironia ed un po’ di pepe commenterà le prestazioni sportive delle compagini varesine. Il titolo nasce dalla fervida fantasia del gaucho che, al calar della sera, è solito metter del ghiaccio in un bicchiere e gustarsi un tonico ed analizzare con sagacia le prestazioni sportive delle squadre prealpine. Il nome potrebbe far pensare ad articoli di facile lettura, in realtà il ghiaccio sciogliendosi nel tonico e cambiando lo stato , diventa di difficile separazione visiva rispetto alla sostanza iniziale…..

mercoledì 16 novembre 2011

La corda del buttero vanamente in caccia

Un pentagono di gol e piaceri sadici ci regala la domenica di metà novembre nella Maremma toscana di fronte ad altrettanto biancorossi, questi più convinti di poter aspirare alla serie maggiore, secondo i voleri del loro Presidente vulcanico. Ma reduci da un sabato di festa, dove tale volontà di apparire e di piacere si è tramutata in disfatta e resa, forse definitiva, i maremmani aprono squarci nella loro barca in cui infilarsi diventa più divertente rispetto ad un filo nella cruna dell’ago.
Mister Giannini perde anche gli ultimi capelli rimasti sul suo cuoio, quando i suoi vedono il cuoio, quello di pelle plastificato, entrare nella propria porta e tale divario è ancor più accentuato dalla totale incapacità di offendere, poiché il solo Sforzini appare oggi giocatore di categoria mentre i suoi compagni, forse spaesati, paiono bambini in festa all’oratorio domenicale.
Maran aveva chiesto di tornare a fare punti e qui si vede molto di più di semplici scalate in classifica generale, i varesini paiono rifarsi sui poveri grossetani di tanti gol falliti fin qui e quando si vede un Cellini abile a sfruttare un contropiede partendo da meta campo, vanamente rincorso da un difensore, pare essere il Natale della Resurrezione per il povero Marco, restio ad alzare le braccia causa le scarse marcature realizzate. E siamo già sul 3-0 per noi, dopo che in pochi istanti di gioco prima Martinetti, su un mirabile assist di Pucino che dopo aver sombrerato il suo marcatore, poneva sulla testa del romano de Roma un pallone che era splendidamente portato nella rete avversaria con un colpo di testa a volo d’angelo. E appena il tempo di rimettere la sfera nel cerchio di centrocampo, il buon Carrozza s’inventava un golazo dopo dribbling secco sparando sotto l’incrocio. Un due tre e invece di alzare la testa, si alzano ancora le braccia quando Zecchin pare inventare un gol da Subbuteo, al momento in cui l’estremo di casa accenna ad una mossa di wrestling cadendo su Martinetti e rimanendo per le terre mentre il pibe veneto azzecca la porta sguarnita per la sua prima segnatura quest’anno.
Poi sul più bello quando in genere la festa finisce, ancora Cellini la spinge in fondo al sacco e dagli spalti paiono provenire più che fischi, generici mormorii di protesta, come quando la pellicola al cinema s’inceppa e lo spettacolo non prosegue. Quando una squadra è intelligente, porta rispetto di fronte a dei bambini che il pallone non l’hanno mai visto in 45 minuti e così, basta solo proporre il caparbio Nadarevic, dopo un recente infortunio, goloso altrettanto di marcare per tenere alta la palla in una seconda frazione che deve servire solo a far trascorrere mestamente, per gli altri, il tempo. Tanto è che lo stesso bosniaco riesce ad accendere gli animi grossetani, pur poco infuriati per la solenne scoppola casalinga, e forse più per qualche parola di troppo e si rende necessaria la marcatura del bestione Sforzini per scaldare i tiepidi cuori Maremmani, a tal punto che vedere rincorrere una sfera in fondo alla porta serve a rendere triste questa smanceria.
Di più il Grosseto non riesce a mostrare oggi, ed i suoi carri armati rimangono nella scatola del Risiko, mentre questa sera vedremo una graduatoria di fede biancorossa che ci allieta e ci inorgoglisce.
A Grosseto i cinghiali non vedono ghiande. A presto.

martedì 18 ottobre 2011

La notte dei senza paura

In una notte lunare, i bianco scusati padovani si avvicinano temerari alle Prealpi convinti di mangiare in un solo boccone gli spauriti biancorossi, che seppure stiano avendo delle flebo da un paio di trasferte, si trovano alla prova vera di un’avversaria di rango. L’attacco varesino deve dimostrare che i gol sono ormai cosa naturale mentre la difesa deve affrontare mitragliatrici vere, gente da serie superiore e con diversi colpi in canna. Neto ancora è nelle retrovie, incapace di scendere in trincea causa i suoi guasti fisici, abituato come è a visitare sale mediche e non aree avversarie, così Cellini ci appare in campo, quel numero 21 che sembra poca roba di fronte ai colossi patavini pronti a mangiarselo. Maran per l’esordio casalingo si fa guerriero, in tuta, per fornire contributo atletico ai suoi visto che ne han bisogno fin da subito nell’inseguire sulle fasce gli scorrazzatori veneti.
Nella sfida con il giovane trainer ospite, Maran punta sulla battaglia e la corsa e sembra anche andargli bene perché quando i padovani superano ogni barriera, arriva il vigile Bressan a fermare ogni sfera pericolosa verso i legni biancorossi. E quando usciamo dalla nostra meta campo, nelle due occasioni sul finire del primo tempo , Nadarevic e soprattutto Cellini sono ispiratissimi nel cercare la gloria oltre la meta, e solo per imprecisioni di centimetri non si arriva ad un vantaggio che per ora è ancora immeritato.
Finora è stata sempre la ripresa delle ostilità ad esserci alquanto fatale nelle due disfatte casalinghe e temiamo che la contraerea varesina non sappia più tenere fermi gli avanti ospiti, fra i quali le serpentine di Cutolo e le manovre di Cacia potrebbero ben presto farci molto male. D’altronde Camisa è pur sempre leggero nei contrasti aerei e su palla a terra Dio c’è ne scampi nel far si che non prenda le caviglie avversarie, mentre Cacciatore pare furtivo nell’aspettare che la volpe si allontani dall’albero e sul primo corner sembra un Parola da figurine Panini nella mezza rovesciata a terra, per depositare l’uva dolce della marcatura dopo appena sei minuti.
Le sentinelle ci fan temere un assalto all’arma bianca ospite, anzi i pompieri della nostra difesa ben spengono subito ogni iniziativa con classe ed in mezzo al campo Kurtic domina una linea mediana ospite di grande livello rendendola impalpabile. Se la palla rimane spesso nei nostri piedi è anche merito di un Martinetti sacrificato a far sponda per tutti, permettendoci di respirare ed anzi veniamo rincorsi largamente sulle ali con insuccesso da parte degli ospiti, non stanchi ma deboli nella corsa. Appena esce lui, vi è Carrozza che pare spento dopo un’annata splendida, quasi da cigno nel balletto pronto a morire sulla scena e l’occasione appare ghiotta per ritornare vivo sullo stage. Così fa subito dai primi tocchi in punta di piedi, sguizzante fra le file difensive ospite e palloni comodi comodi giungono verso la porta padovana, sui quali i nostri avanti si catapultano ma senza la giusta conclusione. E su un pallone mortifero arriva invece il momento giusto, dove Cellini pronto e rapace cattura la sfera su un rilancio del nostro Bressan e steso dal portiere viene.
Dalla panchina Maran si alza ad indicare il tiratore, e proprio Lui viene scelto, e deciso declina verso il dischetto, con tanti pensieri nella testa ma sul pallone li  scaglia tutti violentemente per il nostro raddoppio.
Un’odissea che pare essere terminata, per il nostro e per la squadra, visto che dopo un paio di giri sull’orologio, lo slavo terribile Kurtic getta una sassata sotto l’incrocio per un goal sacrosanto.
Così finì un’epoca, ma lo scrivente ancora non si fida.
Alla Prossima!!!

giovedì 13 ottobre 2011

Doppia Doppia

Nella terra del tessuto, il Varese di Maran neo assunto si dispone per tessere una tela di possibili vittorie, provando a scalare una classifica avara di soddisfazioni e piena di insuccessi parziali e morali. Se nel pre - partita il cristallo di Neto si rompe appoggiandosi alla verde erba fiorentina, il Martinetti prova a volare sul campo di un Empoli che piange anch’esso per i pochi punti presi. Su questo fronte l’arma di Tavano pare incutere tremori nella difesa biancorossa , ma sarà lui stesso a spuntare la colt che ha nel piede e a lasciare sul terreno le gioie. Ma vediamo come si dipanano le vicende.
Si parte con Terlizzi rimasto sulla Prealpi ed il buon capitan Camisa ancora fra gli undici titolari, come ad aver vinto alla lotteria il primo premio ed i suoi limiti spesso ci fanno correre timori anche forse troppo ingiustificati. Sul primo lancio lungo di un improvvisato regista Corti, la nostra prima punta vola come un falco a cogliere la preda furtivamente ed un rimpallo favorevole lo porta davanti al guardiano ospite, fino a trafiggerlo con un dardo impietoso. Uno a zero per noi ed il vantaggio è meritato per la grinta mostrata, senza nessun rancore per un campo come quello di Empoli che la storia ormai passata ci ha rivelato essere nemico e fonte di brutti ricordi. Sennonché gli uomini di mister Maran si rintanano, superbi di un centrocampo magnete nei piedi del biondo lecchese e di offensore dello slavo Kurtic, pronto sempre al tiro con una castagna che in questo mese prima o poi cadrà dall’albero nella rete ospite. Eppure la difesa sembra un po’ svagata, dimostrando di flettersi fin troppo ed è appunto forse l’inerzia di Buscè, attaccante aggiunto a colpire il nostro incolpevole Bressan su un corner che giunge dopo un attacco pressante per dieci minuti. Così si riequilibra il punteggio, ma non l’andamento perché rinculiamo eccessivamente ostaggi di fronte solo ad un Tavano, stella di casa che ci fa paura come un omone nascosto dietro una siepe che appare al calar del sole.
All’ultimo secondo ecco l’uomo della Provvidenza, che si spaventa lui steso di fronte a Bressan, dopo che la trincea scavata davanti alla nostra porta viene saltata come di palo in frasca. Ma la fortuna pare aver svoltato direzione ed il buon centravanti empolese si emoziona come il giorno della prima Messa e fa calare la sfera fra le braccia del numero uno varesino.
La pausa ci restaura perché dagli spogliatoi escono giocatori sani e forti, la tattica è affrancata dalla forza dei più forti e sicurezze si evidenziano, il nostro centrocampo pare una Linea gotica sotto cui nulla scende, l’Empoli si scioglie sotto questo caldo di primo autunno e davanti pressiamo con De Luca, virgulto e scugnizzo nello sfuggire alle pertiche empolesi, ma assai scarno nelle conclusioni. Nel libro della genesi si associa sull’arca di Noè coppie complementari, per cui ad una punta efficace come Martinetti si è mostrato nel primo tempo, si unisce uno scarso , causa i risultati, come Cellini, non forte come il Marco era ai tempi dell’Europa disunita monetariamente. Sui volti dei varesini si dipinge l’urlo di Munch, e tremando scorriamo lentamente i minuti sull’orologio, sapendo che un gol non arriverà fino a che i marziani non scenderanno sulla terra; è fatta anche stavolta un pareggio e muoveremo la classifica, è probabilmente questo il pensiero comune che fuoriesce dalle menti dei tifosi biancorossi, d’altronde finora ne abbiamo più prese che date e poi dai, Maran ha rinfrancato la compagine e sembra darci un gioco.
Ma il sipario deve scendere ancora, e poi Zecchin che d’oro è nella sua piccolezza e sveltezza, accorre per battere un corner negli ultimi istanti, Pucino pare un albatros e si eleva a colpire, ma la sfera sbatte tremendamente sul legno e rimbalza nell’area battuta da più elementi e la chimica si compie con il nostro vituperato Cellini che sospinge con la nuca qualcosa che mai avremmo sognato. Amen.

lunedì 3 ottobre 2011

Piastrelle nere come il Carbone

Sotto la flebile luce di Masnago, benvenuto al nuovo impianto si dovrebbe dire, un Varese rinfrancato da due risultati consecutivi si mostra ad un Sassuolo rinato in confronto alla stagione passata, fatto di giovani speranze e qualche matusa pronto a dare consigli, guidato da un Pea, alter ego di Carbone, ma ben più fortunato finora nel sistemare la classifica.
Pertanto sullo scacchiere i biancorossi si sistemano dando ascolto al modulo e non agli interpreti, con uno Zecchin anima e core seduto in panca causa una forma fisica ancora di là da venire ed un Neto generosissimo, pronto a spaccarsi tibie e ginocchia su ogni sfera rotolante, capace però di danzare nell’aria, facendoci sembrare al Bolscioi di Mosca. La difesa vede ora un Camisa che ci fa paura per Troest che aspetta i primi freddi per uscire dal letargo e dietro Bressan perlomeno ci rassicura, pronto ad uscire di meno causa la sua altezza risicata.
Scorrono i minuti e si vede un solo interprete sul campo verde, De Luca sa duettare con l’arco ospite e vede bene i legni, sapendo anche uscire dall’area per invitare i colleghi a spingere in porta il pallone con cross adeguati alla misura e sui calci d’angolo Terlizzi d’annata si eleva in un’occasione sulla porta lontana dalla curva , facendo balzare il pallone poco oltre. Si dice che è maturo, ma di castagne se ne vedon poche causa il caldo, vista la stagione, e così la disfida prosegue esitante sul momento che si direbbe propizio per la nostra gioia. Di falli e cattiverie se ne vedon poche , a centrocampo Corti domina con un Kurtic ancora sergente agli ordini, ma la scarsa aggressività ospite permette a Carbone di rimanere a suo agio nella zona tecnica, e pare tranquillo in questa notte.
La fine delle ostilità, parziali, ci fa venire il sospetto che si debba aspettare qualche colpo di magia finché le forze sorreggono il buon Neto, le cui articolazioni sono leggere fra le maglie nero verdi e vederlo districarsi fra 2,3,4 uomini ci fa sorridere e speranzosi assistiamo all’assalto varesino.
La piroetta di De Luca all’ottavo ci fa esultare ed ammainare le braccia con rapidità, quando il cuoio finisce sul legno sgonfiando le biancorosse speranze ed i Nostri insediandosi nell’area romagnola, dimentichi di alcune regole elementari , lasciano scappare la furia Bokye, lesto a farsi accapigliare da quattro elementi varesini per gettare nel fuoco le piastrelle fin li costruite, fornendo a Sansone il permesso di dilettarsi ad uccellare Bressan in uscita accademica.
La disperazione non potrebbe non salire, già quest’anno decenti goals si sono visti qui in Masnago e le gambe dei varesini paion bruciate per cui prima Cellini e poi Martinetti aiutano a rinsaldare le forze e ad aumentare gli assalti finali, finché un penalty evidente ai più diventa fischio mancato nel referee e solo rimpianto da dimenticare ben presto.
Stanotte qualcuno non dormirà, e si risveglierà non cigno ma Calimero.

venerdì 30 settembre 2011

Al lupo , al lupo

Calano i varesini nella terra di San Francesco e tra gufi, foreste e lupi, lo sparviero carbone tenta di allontanare gli spettri definitivamente dalla sua panchina per farli materializzare sulla panca di legno di mister Pecchia, anche lui esordiente nella serie cadetta e assai stretta per le sue terga giovani. Pertanto quando al fischio d’inizio il classico modulo carboniano si modifica in uno più aggressivo, con Kurtic fuori temporaneamente dai giochi per un inserimento forse definitivo del più ragionatore Felipe, pare di poter assistere alla prima esterna del giovane virgulto di Calabria, poiché la difesa, se è da serie quasi superiore, la avanti la presenza fissa di Neto da speranze forti di colpaccio.
Allora gli umbri tentano di nascondere le insidie, portando alte le barricate e accendendo subito la tensione intorno al brasiliano mentre Cellini continua a marcarsi da solo e pare maggiormente abile in versione portatore d’acqua e di palloni per Tendini di Cristallo. Ci proviamo subito con il nostro indifendibile Marco fiorentino, peccato che dopo un dribbling estenuante la sfera finisca fra le braccia del guardiano ospite; mentre Carrozza pare un pugile ancora all’angolo dopo il gong e i suoi scatti sono ricordi ormai lontani, forse una firma in meno l’ha debilitato, dall’altro lato Zecchin dimentica i dolori di pubertà, pardon di pube, e comincia a pendolare avanti e indietro per la verde valle umbra, talvolta lo trovi anche davanti alla difesa, piccolo ma tenace nel tenere unita la squadra e farla uscire da attacchi improvvisi degli uomini avversari.
Tanto tuonò che non piovve, perché la nostra capacità offensiva si regge sulle colonne d’Ercole di argilla, con pochi tiri e forse più tensione dietro dove Bressan sonnecchia tutto il tempo, e deve solo lasciarci i brividi per delle uscite che non sono ancora chiare, ma ci fanno ricordare i bei tempi (ben andati per fortuna) del nostro Moreau.
Il piacere ce lo da l’ingresso del futuro Divin Furetto Martinetti, la cui testa troppo dura ce lo ha privato per troppo tempo come l’acqua nel deserto e balzare sul terreno di gioco in maniera sonnolenta al posto di Neto ci fa ben sperare per qualche gioia in più. Così il gioco si fa duro nella loro metacampo, dove li stringiamo per una buona mezzora, ma senza lasciare segni tangibili della nostra presenza, come i Normanni nella Palermo che fu.
In genere più si spinge e più il cavallo entra nella stalla, così non avviene perché ricacciamo i lupi nella tana, come un bunker della linea Maginot, senza cavare qualcosa di positivo; anzi ci dobbiamo sorbire un traversone dalla destra mortifero, su cui nessun umbro avverte la vicinanza con la gloria per la loro prima in assoluto nella B e pertanto più che stringerci la mano alla fine del match non possiam che fare.

A presto con il vostro Pampa solerte.

venerdì 23 settembre 2011

In alto per non volare

Un refolo soffia e porta due ruote assieme alla vita di un ragazzo, un atleta sano nella sua costituzione fisica, oltre i limiti della vita, forse per una distrazione od un colpo di pedale in più teso ad una miglior posizione in cerca della gloria.
Delle teorie sull'incidente si riempiranno le pagine dei giornali, per i curiosi o per i malati di sadismo, privi forse del desiderio puro della conoscenza. A nulla serviranno a sopire il dolore, essenza dell'uomo come situazioni opposte e positive che ci portano con il corpo in alto a livello umano.
Parole si gettano al vento quando il silenzio è portatore di serenità sapendo che lo spirito che ha attraversiato l'esistenza di quest'uomo era rivolto al traguardo, guardando avanti per una gloria forse effimera, ma non vana.

giovedì 22 settembre 2011

La pioggia spegne l'incendio

Sulla graticola brucia il Carbone , con una lettera in mano con la parola fine a caratteri cubitali ed un sogno di giovane allenatore che si modifica cammin facendo, nella selva oscura della serie cadetta. A gran voce in settimana si è chiesto Unità, non d’Italia, ma di squadra, assieme ad un pubblico che facilmente si è disilluso alla luce di un paio di sconfitte, certamente rimediabili ma ingiustificate sotto l’aspetto caratteriale. I fischi nelle orecchie modificano l’intensità e sonorità ed all’ingresso delle squadre solo applausi salutano gli uomini del Mister, più affamato che affermato e il cristallo di Neto illumina un caldo pomeriggio dopo due giri di lancette con un’azione triangolata con il povero Cellini, anti-eroe per eccellenza.

Dalla panchina verso il brasiliano fragile come un grissino accorre una massa gioiosa, a spezzare tremori e fatiche durate un mese, nel quale il digiuno pareva sintomo di siccità e carestia sub-sahariane. Pare un giorno diverso, come essersi svegliati da un lungo sonno, il Varese pareva un plantigrado sulle montagne carsiche, che non sapeva che varcare una montagna fosse un cambio di nazione, comportando responsabilità assai diverse.

Ancora una buona mezzora di gioco, con scambi semplici, Zecchin pungente all’ala come i mesi passati, Neto pronto a farsi in mezzo a quattro oggetto di calcioni sempre pericolosi per le sue articolazioni ed una difesa di gran nome con Terlizzi abile governatore e Troest iperbole dell’atletismo applicato al Fotbol. Pure il nuovo Bressan mette la sua piastrella sul verde di Masnago, anche se la sua prima uscita pare quella dello sparviero in un campo di grano, lasciandoci a bocca aperta per lo spavento passato. Cellini ci mette lo zampino sull’errore davanti all’ospite guardiano, lasciandosi rimpallare la sfera ma non manca il suo dinamismo e se vorrà , potrà.

Hitchcock si siede al tavolo imbandito fornendo una stilettata dura da digerire, un Cocco fresco si direbbe se non fosse difficile la battuta ed il doppio liscio dei nostri centrali gli fornisce un comodo pallone da spingere in fondo al sacco per la sua quarta nella serie. Son passati dieci minuti dall’inizio della seconda parte e se non fosse per l’ingresso del vivace bosniaco freccia rossa Nadarevic, potremmo lasciare correre la partita inoperosamente fino alla fine, come un dormiente all’ombra di un hombu.

Il castello di Lego deve essere ricostruito , seppure il morale non pare aver perso nemmeno una stilla in questi istanti ed il buon Neto , a cui ci si affida e ci si aggrappa (non troppo forte perché potrebbe rompersi), inizia una serie di sviolinate sulla fascia, risollevando il gruppo ed iniziando una samba fra i birilli, paion essere, bergamaschi. Tornare sul luogo del delitto, perché no dice Cellini ed un contropiede classico iniziatosi su un errore albino, diventa la cavalcata delle valchirie fino all’area avversaria dove il Nostro si appollaia sotto la porta per colpire dopo che Neto ha pasteggiato a suon di dribbling aprendogli il Paradiso. Ma l’arma del delitto viene impugnata al contrario e con essa il Marco fiorentino lascia cuore e testa sull’erba, sparando ben alto. Giacché gli improperi possano essere meritati, si teme per la disfatta e l’applicazione della regola classica del calcio; Carbone senza sangue ormai lo richiama all’ombra della panchina spedendo il piccolo De Luca nell’agone, poiché solo verve potrebbe dare.

I seriani paiono giganti al cospetto della zanzara primaverile, ed i suoi movimenti agili lo portano in posizioni consone al suo mestiere, sicché manovrando ai limiti dell’area , crea spazi per Nadarevic, al tiro di poco alto e Filipe, che con un semi lob sopra l’asta ci illude per pochissimo.

Come un biancone nel momento della picchiata sulla preda innocente, De Luca arraffa il pallone giusto sull’assist penetrante di Neto e scavalca l’onesto difensore ospite, colpendo una sfera che ci fa penare prima di varcare la linea magica. Siamo arrivati allo zenit, direbbe l’osservatore meteorologo, peccato che manchino dieci giri sulla sfera di Crono per dirci felici. Ora non perdere la testa è da illogici, in questo teatro dell’assurdo di Ionesco e la riffa si trasforma in rissa per qualche pedata data di sotterfugio e il bon De Luca ne capisce ed è meglio girare al largo da certi marcantoni, omaccioni per le sue piccole terga. Se Grillo salta, ci pensa Pucino a coprirci le retrovie, dice e pensa il Benny mezzo salvato, fino a che all’ultimo sospiro i seriani ci attaccano di lato ed il giovane ex alessandrino non ha che pregare che la sfera finisca fuori sul primo palo di Bressan, nuovo artiere varesino. Un paio di rinvii a casaccio portano la sfera in alto ed al contempo il fischio finale ci fa levare gli arti verso l’Olimpo della vittoria, per la prima, non alla Scala, ma di questo strano campionato. Accorrono i trionfatori, sembrava una finale, poteva essere la fine ma nel salvadanaio finiscono tre punti ed il cammino riprende.

mercoledì 3 agosto 2011

Aforisma sportivo

La squadra è come una tartaruga; se giri la corazza , muoverà solo velocemente le sue gambe al vento, ma non avanzerà mai. Se lascerai che rimanga con lo scudo a posto, arriverà alla foglia di insalata.

giovedì 23 giugno 2011

giovedì 7 aprile 2011

Momenti senza sosta

Arrivare secondi, un momento di saggezza passato ad ascoltarsi.




Sapere porta una tensione a cui solo l'ignoranza sa placare il tremito.

venerdì 1 aprile 2011

aforismi senza moderazione

la morte mi coglierà




mentre rimarrà una goccia nel bicchiere


giammai sapro'


se la lacrima versata


sarà per me


o per la goccia

mercoledì 9 marzo 2011

Solcare i mari

Nel mare magnum della serie cadetta, il Livorno sta perdendo sempre più la rotta dall’obiettivo stagionale del ritorno nel Paradiso. Dopo il cambio di allenatore avvenuto poche settimane fa, gli amaranto paiono aver già perso l’incipit umorale che Monzon Novellino sta cercando di trasmettere ai livornesi.
Dalla sponda opposta giunge la barchetta del Varese, partita come scialuppa e successivamente permutata con un catamarano affidabile, capace nello sfruttare ogni refolo di vento per avanzare sempre più in classifica.
Ci sediamo ai nostri posti e il Varese subito a presentarsi in area con Ebagua, perla nera che guida con sapienza il pallone verso la porta ospite, sennonché s’incrociano le gambe di De Lucia pronto a buttare a mare le grida di gioia varesine.
Poi passa il tempo e sugli spalti di casa ci si aspetta il veliero amaranto attraversare il centrocampo a grandi falcate verso la felicità del goal, ma la cerniera varesina è ben stretta e capitare fra le tenaglie di Corti significa lasciare ben presto ogni speranza.
Ci si mette il normale accadimento dei fatti, in altre parole cristallo Neto lascia le sue leve sul terreno come consuetudine, solo che stavolta la via terminale è la barella dove può riposare per questo pomeriggio.
L’ingresso di Willy “O’ Animale” Osuij sconvolge i piani: Carrozza un po’ scarico di batteria negli ultimi giorni si porta di punta sulla barca e costringe Correa a circondarsi di poco fosforo e molto agonismo, apparendo davvero Gaucho nella Pampa, isolato lì in mezzo. Né pagherà le conseguenze perché si trasformerà in un lottatore pure lui, perdendo di vista il lato offensivo della giocata.
Per tale fatto le azioni varesine sono le fiammate veloci che vedono in Ebagua il finalizzatore e sui calci d’angolo gli uomini biancorossi fornivano ulteriori prove della voglia di vincere.
Per aspettare di vedere il Livorno giocare, si dovrà attendere la seconda frazione e anzi l’ingresso del giovane prospetto D’Alessandro porterà vivacità all’attacco amaranto. Una sua percussione sulla sinistra con dribbling finale e tiro verso Zappino ci farà sussultare fino all’arrivo di Pesoli che con tempismo gli sbarrerà la strada.
Poco dopo sono i nostri ad atterrire la barca amaranto con un’azione persistente nell’area avversaria e solo la forza degli dei (o della dea) blocca questo Varese nell’abbordaggio di Livorno.
I puffi cantavano, due mele o poco più, qui di tondo c’è solo il risultato finale e se questa è la Serie B, forza ragazzi, c’è posto anche per voi nell’Olimpo.

giovedì 27 gennaio 2011

Percorsi Alternativi

Sulla strada ferrata che porta alla Serie Maggiore, i bergamaschi devono sorpassare il passaggio a livello biancorosso, fresco domatore del Torino miliardario di Cairo. Pesoli si fa male nel riscaldamento e Camisa si toglie la tuta e indossa la fascia dopo diverse settimane per assaggiare il calore dello stadio orobico e fronteggiare le punte non proprio di serie cadetta.
Non si trema davanti a Zappino, uomo ragno che pulisce l’area dai palloni pericolosi spediti dagli avanti a strisce neroazzurre. Dos Santos afferra per mano il suo capitano, portandolo sulle tracce di Tiribocchi, sapiente nell'usare la potenza mentre Marilungo non giustifica l’impiego di così tanto capitale se non in un paio di allunghi da quattrocentista.
Sannino è presente a bordo campo, ma i suoi ordini paiono inascoltati per una squadra che si chiude a riccio e così l’Atalanta si porta in massa nella metacampo prealpina per strappargli gli aculei. Ebagua si estingue causa la carestia di palloni che le ali biancorosse paiono preferire per sé stessi mentre Corti, sentendo il richiamo della battaglia, si assesta sulla mediana a bloccare ogni intervento offensivo.
Poche sono le occasioni per gli orobici e solo dei corner temporanei sembrano essere stimulo per pungere. Zappino ci fa tremare in un paio di occasioni quando si paracaduta là al di fuori della dogana, ma la difesa sua è abile a sbrigliare senza chiamare l’aiuto del finanziere.
Alzare la manovra porta a pungere nel cuore della Bergamo nobile, con un cross azzeccato di torpedo Carrozza che porta sulla testa del nano Zecchin un pallone buono per un ariete. Ma qui si trova un topolino che gira a lato perché il suo mestiere è morsicare i garretti e non affondare i denti.
Così la pausa ci viene incontro senza patemi, si potrebbe dire che andiamo alla vigna del Signore con passi lenti perché le sorprese non vengono se si conosce la strada e la fede ti aiuta. Colantuono può cercare di cambiare i suoi assi sul tavolo, memore di polemiche agostane da lui provocate e se il Varese si mette a fare la sua partita, l’ingresso di Doni, ora etichetta che luccica contro i plebei, tende a mettere in guardia sé stesso. Infatti i prealpini sentono l’odore dell’animale avvicinarsi alla trappola e le sua ali spingono con voracità, valendo Carrozza e Zecchin come incursori giusti per la torre Ebagua.
Ma il Giulio non gobbo litiga con le sue pantofole dorate e anziché calciare la sfera, si arrabatta con il terreno per rimanere in piedi; nemmeno il coniglio bagnato Neto si sottrae e le sue svolte repentine con la palla ai piedi paiono passi di macarena estiva.
Il tiro di Frara su illuminazione di Carrozza pare un tracciante diretto all’angolo, sennonché Consigli da provetto estremo leva la polvere dal palo respingendo con stile.
Così il profugo Doni può diventare l’emblema della gara, trovatosi faccia a faccia con Zappino che lo intimorisce con i suoi piedoni e l’eroe greco può buttare a fondocampo un pallone già timbrato dalla Curva Nord atalantina. Nulla più si chiede alle due compagini, lottatrici sul terreno, presunto pesante da chi usa le parole per vincere a tavolino, ma oggi Davide è il vero eroe, sul monte Parnaso la Dea non è ascesa.

sabato 22 gennaio 2011

Corsia Prefenziale

Correre sul filo del rasoio con un coltello che t’insegue, che ha i colori biancoblù e il cui manico è nelle mani di Trincheri, coach della nouvelle vague, filosofico come fu Valerio Bianchini, preparatore molto più di allenatore, che usava le parole per prendere rimbalzi e la lingua felpata per rubare palloni, molti di più di quelli che avrebbero potuto sottrarne i suoi scagnozzi in pantaloncini.
Recalcati si siede su una panchina che è calda per la serie negativa, fatta di sconfitte a bruciapelo e di cerotti che accarezzano la pelle dei suoi giocatori, legandoli alla panchina senza dare contributo.
Così il derby sembra ancora di salvezza, una partita che serve a esaltare i vecchi leoni, dalla barba folta da cui scende bava. Galanda lo dimostra subito con un paio di canestri a cui Micov, nome farmaceutico, risponde con perizia e la partita comincia a correre, anzi scorre più sangue che punti perché ogni gomitata vale più di un canestro e nulla si deve centellinare su quest’altare. Goss pare ispirato dalla luna invernale, che appare da dietro la foschia e si mostra nel suo bianco splendore.
Le sue azioni contribuiscono a far ritrovare un sorriso perduto sugli spalti, dopo prestazioni prive di verve e quando si alza il naufrago Thomas, in ginocchio è il caso di dirlo, è lampante come contino le motivazioni, serie e fortificate dalla tensione.
E un paio di canestri con tiri in avvicinamento dimostrano che anche il minimo sindacale oggi è prezioso, quanto mai per azzannare i canturini e fargli sentire il fiato pesante sul collo.
Con Slay che appare un bel rimorchio per Marconato, il quale preferisce transitare a distanza di sicurezza onde non subire il colpo d’ali dell’uomo del Tennessee. A furia di accelerate e frenate, la disfida rimane al casello, per ripartire dopo la sosta e allora a piazzare un balzo oltre l’ostacolo ci vuole Goss in versione folletto, la cui fiaba si manifesta con il tiro della speranza da oltre meta campo allo scadere.
I biancorossi corrono nello spogliatoio lasciando esterrefatti i brianzoli, inconsapevoli di ciò che lo sovvertirà a posteriori. Il terzo quarto, quello temuto dalle schiene e dalle ginocchia varesine, tiene unite le due squadre; triple prealpine squarciano la zona di Trincheri mentre Micov e Leunen paiono extraterrestri planati su Masnago. Orbene, l’ultima pausa fa dilatare i gomiti degli uomini di Charlie e i corpi varesini paiono di gomma, piegati in difesa a rubare palloni e scattanti in attacco per giochi a due altamente provocanti.
Slay pare al parco giochi, dove senza la sua presenza non si ha possibilità di aggrapparsi ai tabelloni e la cattiva e con chi prova a opporsi per ristabilire i diritti. Dall’altro lato del campo Goss si violenta fisicamente con tiri fuori controllo e serpentine lontane dalle manone canturine; il suo score segnerà 26 punti totali e un mare di furti non punibili perché depenalizzati, lo eleggeranno uomo partita, salvando la squadra dalle secche invernali.
In più il divario si fa ampio, gioia e goduria per il proprio pubblico ultimamente rimasto scioccato dagli ultimi minuti e così possono sventolare le bandiere biancorosse. Ci si spella le mani per l’uscita dal campo del folletto nero e Slay ci fa accapponare la pelle, da vero capopopolo quando provoca e deride Leunen fin davanti al tunnel a fine gara.
A pranzo si sta a gambe larghe, il piatto sarà succulento. A presto!!

giovedì 20 gennaio 2011

La difesa della riserva indiana

Colpire e stupire: questo è il messagio che il Capo Sioux Sannino consegna ai suoi pellerossa (e bianca) prima della sfida storica. I granata sono in serie positiva da dici turni mentre il Varese ha appena interrotto la sua striscia nell'infausta discesa sotto il Po in quel di Piacenza.
Tornano Zecchin e Neto, uomini necessari per respingere gli invasori oltre la riserva di Masnago, imbattuta da più di due anni, record europeo dei campionati professionistici. Novità ulteriori non ve ne sono e non sono necessari, perchè il mecccanismo è oliato e la catapulta offensiva funziona con l'asse brasiliano - nigeriano Neto - Ebagua, la cui intesa vincerebbe ogni gara a Stranamore.
Poi si scende nell'arena e le carte da giocare paiono truccate, con un Torino da alta quota e pronto a mangiarsi la pecorella biancorossa; aggrapparsi al pelo permette di azzannare con facilità e calm l'animaletto, indifeso e timoroso di fronte ai titolati granata. Coraggio invece non difetta ai piccoli indiani e Zappino sbarra l'ingresso a Sgrigna con un tuffo alla sua sinistra, portando con sè gli applausi di una Masnago tutta esaurita (8000 son tanti di questi tempi).
Ancora si prolunga l'attesa per il primo tiro verso l'estremo ospite ed il più piccolo Corti appoggia di testa fra le braccia di Bassi perchè possa accogliere la sfera. Dovrà poi vedere i sorci verdi sul tiro deviato di Frara e la velocità rallentata lo salverà dalla capitolazione, indi per cui i minuti finali sembrano quelli in cui la gallina cova le sue fatiche.
Zecchin trattiene il pallone a mò di giocata rugbistica e l'accorrente Frara spara secco e preciso aprendo la difesa ospite per l'esplosione dei biancorossi. Colpire la bestia con un dardo quando il recinto  è aperto, significa lasciarlo rantolare e prolungare l'agonia. Il veterinario Lerda cerca di lenire nello spogliatoio la ferita, ma dopo la mediazione l'animale pare narcotizzato e Dos Santos, abituato nella foresta amazzonica a rincorrere bestie ben più feroci, raddoppia il dardo mefistofelico con una cornata sul primo palo.
Ancora il piccolo Zecchin è stato il geometra preciso che con filo a piombo indirizza un cross pulito in un'area desertifcata.
Il raddoppio apre un'altra partita, i valori delle figurine Liebig non hanno alcun senso; le fasce diventano terreno di conquista per Carrozza, abile a saltare i paletti granata nelle sue discese mentre Zecchin apre il centrocampo come il coltello nel tacchino di Natale. Il Toro si sgonfia in un amen e Bianchi rantola nell'avamposto, ergendosi sul carroarmato senza colpo ferire.
Arriva poi l'espulsione del Mister Sannino, focoso come sempre ed in difesa dei suoi ragazzi, figli aggiunti da offendere e difendere. Da sopra la tettoia continua ad agitarsi, indicare e cambiare le carte in tavola; Concas debutta per uno stanco neto e in un paio di contropiedi trasforma in oro un traversone effiemero di Carrozza.
E sono tre, disse Martellini in una sera di luglio; la notte è calata per il glorioso Torino sul terreno di Masnago e ciò che segue è passerella per i biancorossi. In alto le mani, scavati la fossa vecchio cuore granata, il giovane pistolero ha vinto.

venerdì 14 gennaio 2011

Porte da varcare

Freddo e umidità ci accolgono sotto il Po nella prima dell’anno nuovo, per confermarsi oltre la classifica che i soloni decrittavano nel caldo di agosto. Qualcosa manca nell’undici di Sannino, pedine e uomini, perché Neto e Zecchin si possono regalare nei fustini del detersivo, non in una partita tesa come quella contro gli emiliani, affamati di punti come nella guerra dei forni nell’antica Parigi.
Il trio piacentino, Guzman – Cacia – Graffiedi, mette paura alla difesa biancorossa, ma dietro gli uomini di Madonna propongono vuoti meglio di uno scolapasta. Nadarevic non è esule nemmeno nella formazione varesina e punta il sette ospite con forza e nervi, alternandosi a un Carrozza fresco rientrato da un infortunio e poco incline a passarla, memore di serpentine che oggi appaiono più prevedibili.
Così il tempo trascorre nell’attesa di una nostra marcatura e sugli spalti si rimane ben fiduciosi sennonché un paio di dimenticanze nelle retrovie varesine appaiono sordi campanelli d’allarme.
Ci vuole una sospensione furtiva per dei problemi nel settore misto, frutto d’incapacità organizzative e codardia nel decidere. L’arbitro sospende la contesa per qualche minuto, dando motivo di maggior tensione e forse la paura aumenta la carica dei tristi piacentini, timorosi di svegliare l’orso varesino, uscito dal letargo della pausa con un po’ di bava in meno.
Ecco che parte Guzman sulla sinistra alla ripresa e Pesoli ci sorprende con la prima mancanza della stagione e sul traversone che ne consegue Cacia, più adatto a palcoscenici regali, appoggia in estirada sotto la traversa e Zappino nulla può, se non protestare per qualcosa che non si capisce.
Salgono i borbottii sugli spalti marcati Varese, la sorpresa è grossa perché si vede smarrito il gioco illuminante che ci ha accompagnati fino a dicembre; Ebagua è ancora sotto le coperte e allora un buon cross per la pulce Tripoli diventa oro luccicante. Il fischietto ferma l’azione per un abbattimento furbesco o forse errato e sale l’attesa, si vede il meritato pareggio ma si teme per la tensione del tiratore, Capitan Buzzegoli, giocatore e uomo boa su cui ricadono i giudizi contrastanti del popolo.
Essere o non essere, questo è il dilemma e un pallone da calciare verso gli undici metri costituisce il viatico per la buona uscita. Gli astri sono favorevoli e vedere Cassani superato da una botta secca e tesa fa levare in alto le braccia di noi tifosi mentre altri arti sommergono il capitano in quello che sarà la sua ultima segnatura.
Sannino non pensa a rilassare la sua ugola e fuori dalla panchina disegna geometrie nell’area tecnica, che i suoi allievi paiono male interpretare in quest’arena infreddolita.
Giunge la pausa a sciogliere le menti obnubilate dagli scontri e dal gol di Buzzegoli, che pare messaggio in codice per qualcuno.
E quando si ricomincia la sortita, il buon capitano lascia il destino in mano ai suoi compagni, improperi generici scendono dalle tribune mentre il povero Sannino si apprestava alla staffetta del sabato. Frara entrerà di lì a poco, per disegnare con il compasso passaggi calibrati e atti a non offendere mentre in avanti Ebagua partecipava al sabato del villaggio standosene seduto fuori dalla porta di casa.
Carrozza metteva il motore a due cilindri e il bosniaco fresco di nomina prendeva a spallate gli avversari. Si arrivava al limite del fiume e il nulla di più pareva accomodare anche i padroni di casa, dopo che in alcune occasioni Zappino fresco sposo non porgeva il cuscino con gli anelli.
Quando Armenise era spedito in campo, la beffa si faceva reale; un corner strano finiva il Varese, mandando la difesa in barca e sull’ascensore saliva Anaclerio, portando salva la scialuppa piacentina. Male era iniziato il giorno e peggio finì, con la tragicommedia senza eroi positivi.

giovedì 13 gennaio 2011

Il Saluto

Una traccia lasciasti sul terreno
e là dove gli angeli cantano
si concluse la sua traiettoria.
E la ripetzione ci consacrò,
solennemente al livello dei professori,
ridandoci la gioia perduta
del tempo che fu.
E poi riapristi la storia,
nell'Olimpico notturno,
e gli anni erano passati,
ma pochi mesi
bastarono per farci sognare.
Asso te ne sei andato,
ad illuminare geometrie altrui,
con un domani che ci lascia
in attesa speranzosi.