Due cubetti di ghiaccio

Da questa settimana fino al limitare delle sue forze la voce della Pampa disporrà di una rubrica fissa nella quale con ironia ed un po’ di pepe commenterà le prestazioni sportive delle compagini varesine. Il titolo nasce dalla fervida fantasia del gaucho che, al calar della sera, è solito metter del ghiaccio in un bicchiere e gustarsi un tonico ed analizzare con sagacia le prestazioni sportive delle squadre prealpine. Il nome potrebbe far pensare ad articoli di facile lettura, in realtà il ghiaccio sciogliendosi nel tonico e cambiando lo stato , diventa di difficile separazione visiva rispetto alla sostanza iniziale…..

venerdì 27 gennaio 2012

La casa di villeggiatura

I grattacieli contro le villette unifamiliari, i dioscuri greci contro la mobilità fisica europea, l’uomo immagine contro la signorilità, torna la sfida d’alto livello Varese contro Milano, partita negli ultimi anni che ha i visto i varesini vincitori in casa e sconfitti in maniera diversa sul terreno meneghino. Oggi siamo in casa ed il pubblico riempie i vecchi gradoni del Lino Oldrini, oggi comodi seggiolini per un basket che non necessita di arene moderne, ma di calore e fiato sui colli degli avversari. Così sembra oggi fin dalle prime battute, nelle quali il tiro da lunga distanza ci fa sopravanzare in maniera agevole gli uomini di Armani, in striscia pesantemente negativa da un mese circa e che sperano nel derby prealpino di rifare la bocca alla vittoria.
Ma dalle labbra dei varesini scende solo tanta bava,quella che deriva dai morsi alla bestia enorme che non fa paura se viene aggredita. E Diawara di fame ne ha tante, affondare nel canestro ospite lo esalta ed insieme a lui tutto il pubblico di casa mentre i tifosi avversari giungono a mo di protesta, quasi più contenti se anche oggi l’amaro calice venisse bevuto fino al’ultima goccia. Ma la terna grigia, di nome e di fatto permette i riaggancio ad una Milano che se non avesse la sfrontatezza inelegante di Rocca sarebbe già sotto coperta, cos’ tanto in tema in queste settimane. Il marine semi-italiano non è un campione di tecnica, ma di coraggio ne ha da vendere e nell’affrontare l’orso estone Talts le mani diventano armi pesanti da usare per riagganciarsi alla maniglia. Il nuovo arrivato di maniglie se ne intende, avendo appena posato quella della valigia proveniente dalla lontana Polonia e fresco e guizzante dribbla come i finanzieri per uno spallone i difensori meneghini, solo la sfortuna lo vede premiato in un’occasione, ma quanto a coraggio e sfrontatezza non teme confronti con l’imberbe ed ormai ex giocatore sotto le montagne Hurtt, ormai destinato ad usare il binocolo per assaggiare il campo 28 x 14 e più propenso a passare borracce o ascoltare parole per lui vuote di significato da coach Recalcati.
Toglie i cerotti pure il finnico Ranniko, con le sue ginocchia cagionevoli ma necessariamente abili, e l’orgoglio di Fajardo, ormai stanco da mille battaglie ma pronto a stillare ancora una goccia di sudore in più per la squadra ed i compagni e arrivare alla pausa in quasi equilibrio potrebbe essere l’ultimo momento di felicità. Per chi non si sa, perché alla ripresa Varese piega le ginocchia in maniera completa, solo 4 i punti saranno quelli segnati da Milano, gli arbitri cominciano a concedere qualunque cosa ed i varesini, intuendolo, cominciano a graffiare ed affondare i denti nelle carni tenue. Le lacrime poi le fa sgorgare quell’atleta splendido che è Diawara, a cui appendersi è facile, ma solo per lasciare i capelli ed aggiungere penalità sul tabellone dei falli. Solo la mira da oltre l’arco dei milanesi permette di tenere aperta una partita che sotto l’aspetto caratteriale è segnata. Il Palazzo canta vecchi cori , d’antan, così come le facce di Scariolo e soci, vecchi ed abituati alla batosta. Varese alza le mani e gli occhi agli stendardi sul soffitto, un’altra medaglia è appesa al petto e cominciamo a divertirci. A presto.

martedì 24 gennaio 2012

Il Tacco forte

Un Varese morsicato dal galletto pugliese nell’ultimo sabato di campionato, scende nel tacco d’Italia per prendere a scarpate un Crotone malandato, reduce da un triplo secco e la panca di Menichini scotta assai, quasi come l’Etna pronto ad esplodere. E di Sicilia sente il profumo degli aranci il granatiere Terlizzi, che nella lontana Trinacria trovò negli ani passati anni splendidi, ricchi di gloria e forieri di denaro sonante per più ambite piazze. Dopo la sfuriata settimanale di Patron Rosati, gli uomini più che Maran sono consci che ben altro è il gioco del Varese e lontano dalle Prealpi si dimenticano i rancori e si getta nel rettangolo verde dinamismo e spritz puro, sulle fasce Pettinari in corsa sempre Bolt, portandosi pure la sfera al piede mentre Carrozzo forse per l’ultima alla chetichella si divincola facilmente degli avversari con il suo incedere inclinato.
Così le occasioni si contano per la banda maraniana e giustappunto il già citato Terlizzi sente la porta con il suo radar fissato nelle parti alte del corpo. Alla prima non va, alla seconda da corner sfodera un colpo forte che lascia Belec orfano della sfera per il vantaggio ospite assolutamente meritato. Una mezzora molto buona e concreta, dove il minimo scarto è ben più pesante nella dimostrazione di gioco, ordine e pulizia direbbero nelle sfere dei piani alti, in difesa le colonne d’Ercole non lasciano uno spillo fuoriuscire, Cahil che nelle ultime sfide ci aveva fatto soffrire sembra indifeso e timoroso e a centrocampo un Damonte cortiano si getta nel fango senza voler apparire, lasciando a Kurtic i titoli e gli onori.
Entrare nella seconda frazione non pare pericoloso, solo l’uscita di Neto precedentemente ci aveva fatto temere per un’involuzione ma Martinetti si mostra aquila rapace come al solito, catturando tutto ciò che vola oltre la sua testa.
E solo spingendo si può arrivare alla gloria, direbbe un rimorchio senza la sua motrice, pertanto la zanzara De Luca punzecchia gli ospiti con il suoi piedini magici e se sul primo tiro il guardiano calabrese si supera spingendo oltre la linea la sua percussione, nel secondo caso ci pensa un difensore a tagliare le speranze per la marcatura, andando oltre le righe in quanto le maniere forti sono la maniera con cui viene fermato il 91 biancorosso.
E sul dischetto il giusto Carrozza spinge secco e centralmente il pallone per darci la seconda gioia e farci alzare fin troppo presto i calici; qui sembra finire la venuta dei garibaldini in terra straniera e lo sbarco dei Mille appare lieto fino a che allo scadere la giovane speranza rossoblù da fiducia ulteriore anche a Mister Menichini, già pronto ad alzarsi per lasciare la sedia ad altri. Illusione pura, oggi il Varese è padrone in terra aspromontiana e sulle montagne ci salgono i varesini, ma son quelle della classifica.
A presto

Lisbona day





mercoledì 18 gennaio 2012

Il Galletto canta

Un sabato che doveva servire a ricordare un ragazzo purtroppo ben presto spentosi, diventa pomeriggio infame e codardo, con i biancorossi timidi ed inoffensivi, teste scariche e piedi imprecisi nell’appoggiare anche lateralmente e nulla si può dire del campo, che ricorda anni di fango passati in divisioni ben più inferiori simili ai gironi dell’inferno da cui si è risaliti con mille difficoltà.
Dal tavoliere arrivano dei galletti spennati, con difficoltà di pecunia che non puzzano fino a che arrivano dai Matarrese, a cui i petroldollari russi sembrano assai pericolosi per altri incroci e le personalità giovani che i pugliesi san mostrare in campo valgono il biglietto perché Caputo sarà anche veloce e fortunato nel sorprendere Figliomeni la cui dimenticanza dal campo lo fa sembrare utile per un match pasquale. Pertanto sfilargli la sfera e sottrarlo ai suoi doveri di difensore pare come il gioco della morra, aspettando la prima mossa avversaria e se Bressan si protende alla sua sinistra, lo può fare in maniera plastica per vedere una sfera che rotola sul palo opposto. Mancano ancora ottanta minuti, distanza ben lunga per gli uomini di Maran, sempre pronto a prendersi rivincite contro le sue ex squadre e che sente le sfide molto più di tanti appassionati. Il calore che il mister espone visivamente non lucida le teste varesine, forse alcolizzate dai brindisi post Genova. Trovare un protagonista che sia di marca varesina sembra una caccia al tesoro su cui nessuno vuole rischiare di perdere tempo ed allora gustiamoci questi gioielli pugliesi a cui da chioccia lo scozzese Donati porge le mani per tenerli uniti e sembrare difensore di stazza e riorganizzatore di gioco.
Un paio di occasioni per noi nella prima frazione, su cui il Cellini appone il marchio (non il Marco), senza forzare di sciabola ma di fioretto, tanto è che Lamanna si ritrova la sfera fra le braccia senza troppo sudare.
Allora la camminata veloce di Maran verso gli spogliatoi sembra preannunciare muri che tremano di fronte a Corti e soci, per cui l’attesa di 15 minuti ci pare ben aspettata. Ma gli attori non sono i registi ed il copione si ripete se non per una fugace fuga di De Luca il cui tiro fa alzare le braccia non per la segnatura ma per la delusione. La zanzara è li per pungere da subito, tormentando i sogni dei baresi per quello che poteva essere e non sarà, perché i galletti grideranno ancora una seconda volta dopo Bressan catapulta su di sé le attenzioni per delle strepitose bocciature dei sogni di alcuni baresi ma non per Stoian, osservato dagli scouts di serie A ma non degli estremi di Varese che lo lasciano staffilare senza opposizione da dentro i sedici metri fatali.
Così se ne va l’ennesimo pomeriggio casalingo non sorridente, c’è ben altro ma siam li a considerarli per il ruolo che hanno, guardiamo la classifica e avanti tutta con forza.
A presto.

lunedì 9 gennaio 2012

Porto senza Faro

Solitari in trasferta verso la patria del calcio italiano, in quel di Genova dove nel 1800 e pico fu creato il Genoa Cricket Club, mentre i colori blucerchiati videro la luce nel secondo dopoguerra grazie ad una parola tanto cara al mondo moderno, fusione e non nucleare per fortuna, ma sempre incline ad essere poco allegra perché fa perdere i valori originari mischiandoli nel mare magnum delle idee.
Così il Varese del costruttore Rosati, ben conoscitore di questo porto non delle nebbie ma degli affari, porta i suoi uomini, ancora un poco sperduti, ad affrontare una nobile decaduta che tenta faticosamente di risalire i perigli della classifica e sebbene il cambio in panca non abbia portato sconfitte, ancor non si vede grinta nei garretti sampdoriani.
E si dimostra così per almeno un tempo classico, quelle delle mele da cogliere che prima Neto e poi Nadarevic lascian cadere senza coglierne al volo l’opportunità. Gli opposti, ostici quanto basta nella loro difesa, paiono spaventati dalla muraglia umana delle due curve a loro care, propense a fischiare e non ad incitare, lasciandoci amaro in bocca perché quella folla non sia attenta a stimolare quanto ad appesantire il clima.
Tali occasioni ci amareggiano perché pensando alla seconda frazione temiamo di essere spazzati via dall’iceberg , rimasto in quei minuti sott’acqua per alleggerirci il peso del viaggio, seppure il caldo vento ligure ci abbia accolti fra le sue braccia, e quasi portando sabbia nei nostri occhi, per lasciarci risvegliare poco prima delle cinque, in tempo per leggere un risultato negativo sul tabellone.
Aspettiamo allora intrepidi ciò che verrà, sicuri che i vani attacchi biancorossi verranno respinti e in un sol boccone la marea blucerchiata ci risvegli dal sogno di trent’anni fa, quando in analoga partita gli uomini dell’allora Colantuoni furono stregati dalla nebbia e da qualcosa che non fu mai chiaro ai vertici arbitrali. Scorrono i minuti sul cronometro, e non sembra interessare che passino veloci, semmai sembra che il piacere possa finire fra poco e per cui ogni folata offensiva pare un pugnale estratto per colpire la nostra carogna facendoci gridare alla luna. Un poco la voglia blucerchiata sembra sopita, ma da notare come il centrocampo prealpino alzi le barriere come le palizzate a difesa dei bagnanti in riva nella notte di luna piena e sanguigni Corti e Terlizzi chiudono con differente maestria, lasciando nel fossato i Bertani e i Palombo, pigmei di fronte alla classe operaia che va in Paradiso.
Allora il richiamo della foresta fa destare la voce di Maran, lucido e cosciente che nulla va fermato e ciò che si crea vale per novanta minuti, così i suoi cambi sembrano colpi di bacchetta portentosi ed onesti, non mago quanto caparbio stratega che accerchiando gli imbelli genovesi, fa sembrare una piroetta di Carrozza ed un soffice colpo di Damonte poesia per un qualcosa che rimarrà nella storia calcistica di Varese. Notte.