Due cubetti di ghiaccio

Da questa settimana fino al limitare delle sue forze la voce della Pampa disporrà di una rubrica fissa nella quale con ironia ed un po’ di pepe commenterà le prestazioni sportive delle compagini varesine. Il titolo nasce dalla fervida fantasia del gaucho che, al calar della sera, è solito metter del ghiaccio in un bicchiere e gustarsi un tonico ed analizzare con sagacia le prestazioni sportive delle squadre prealpine. Il nome potrebbe far pensare ad articoli di facile lettura, in realtà il ghiaccio sciogliendosi nel tonico e cambiando lo stato , diventa di difficile separazione visiva rispetto alla sostanza iniziale…..

martedì 23 novembre 2010

Il peso del ritorno del passato

Giornate che durante la storia personale giungono prima nella mente e poi si concretizzano nei fatti, episodi negativi che segnano una tappa e non necessariamente da cancellare per la loro bruttezza ma possibile esempio per ricordare come non si deve fare. Si arriva nella campagna padana per dimenticare giornate sfortunate e perdenti con un ruolino di marcia sull’andante con brio e si crede di passare con il trattore per arare, dall’alto del prestigio e dei nomi che Varese può sistemare sui ventotto metri legnosi.
Dal sogno nebuloso e terreo ci si sveglia a furia di schiaffoni formato triple e passaggi a vuoto, persi sul fondo del Pala Radi e destinati ai fotografi, come flash descrittivi della mente vuota.
Il Padre Recalcati non gradisce schiaffeggiare i pargoli cresciuti e ne cerca il lato maturo, oggi lasciato sul pullman e chi vi racconta mostra sempre fiducia nell’arrivo di una sveglia che invece ha rotto la campanella tintinnante.
I cremonesi appaiono lucidi e spietati, abili a cercarsi la fortuna e il cavallo di Troia Milic non serve per sfondare la porta d’ingresso, sono gli ateniesi Rowland e Sukolic a bucare la retina e il parziale del primo quarto (26 – 7) chiude dietro di sé speranze di espugnare un campo arido di gioie per i varesini. Le passeggiate vanoliane nelle praterie difensive sono lunghe e distensive, servono a esaltare il pubblico grigio azzurro che assiste a una sfida impari con loro somma gioia.
La curva biancorossa, indefessa nell’appoggiare le casacche amiche, vede il fortino assediato dagli indiani e confida nel fatto che il generale Recalcati possa dissotterrare armi nascoste alla vigilia perché nei suoi soldati soliti non vede la luce possibile della rimonta, come finora è avvenuto.
L’ingresso del nemico Cotani è salutato con una selva di fischi e d’insulti, stimolanti per il guerriero di Ostia, più simile ancora a un bagnino della riviera modello anni ’50. Topolino Goss muore spesso con la palla fra le manie le sue entrate sono flebili colpi sulla porta torrazziana, rimbalzati dalla durezza del legno. Nella tundra il finnico Ranniko perde le tracce dei suoi compagni, nascosti dietro gli abeti per giocare in nonchalance a chi meno si batte, cerca le mani a cui indirizzare palloni sui quali Teemu preferisce astenersi dal prendersi responsabilità.
Dall’altra parte i cremonesi improvvisano una gara delle schiacciate su contropiedi senza opposizione, esaltando la folla amica e Varese non mostra reazione, apparendo ancora al pasto pre – partita e se all’intervallo si chiede quando inizia la partita, è perché l’allegoria è evidente nelle canotte biancorosse scese sul parquet.
La lontananza della Dea Atena porta Nike nelle braccia dei torroncini, punti vitali a costruire la permanenza sul fiume della felicità e la barca di coach Mahoric può scivolare sull’acqua in questa giornata evitando l’alluvione che la classifica varesina avrebbe fatto predire prima di questo pomeriggio.
Aria di corrida dove il pollo viene braccato e superare i cento punti diventa obiettivo negli ultimi minuti che ci separano dalla sofferenza portata a conclusione, per una giornata che rimarrà negli incubi notturni della storia del basket varesino.

lunedì 22 novembre 2010

Sugli irti colli

Si rivede l’Ascoli e le sue colline splendide, portatrici di serenità e leggere brezza che consigliano spesso di sedersi a tavola per passare pomeriggi distensivi, esattamente quello che vorrebbe trascorrere la compagine biancorossa in casa di una formazione che, come i russi, una volta chiusi nella sacca di Stalingrado, seppero trovare le energie per risollevarsi e salvare un’intera nazione, così i bianconeri sono impegnati a continuare la risalita nella classifica dopo la mazzata della penalizzazione.
Castori chiede orgoglio ai suoi ragazzi, fra i quali manca in partenza l’ex – astro nascente Lupoli, tenuto in caldo per essere sfornato sul campo pesante quando le menti saranno annebbiate e le gambe appesantite. Mister Sannino vuole invece continuità e una prova di maturità, perché l’alta classifica può provocare momenti di asfissia, causa l’aria rarefatta.
E così dopo pochi minuti l’azzoppamento di Ben Hur Osuj provoca uno sfasamento dei piani tattici: Corti si alza come ricambio originale e Sannino lo avvita nella medesima posizione per non rompere il meccanismo. Ciò che conta sono i tre cavalieri davanti a tutti, sempre in sella grazie alla sintonia nascente dalle giornate trascorse assieme a cavalcare e procurare dolori ai difensori ospiti.
Si cade nel tranello di ingollarsi i marchigiani come succulente olive ascolane, sicuri poiché proprietari d’idee di gioco fantasiose per la categoria. Palla fra i piedi dei varesini, con trame mosce a centrocampo dove il fosforo si accende come un fiammifero in una serata ventosa e poi, coperto il cerino, s’infiamma il gioco sulle fasce grazie alle opere di Zecchin, primo flautista nell’orchestra sanniniana. Il piccolo Cellini appare un oboe turato al quale il pallone è disturbo per la sonata e Neto, violoncello per motivi ispirati a un tango devastante, sembra oggi più adatto a un triste fado, eseguito per lamenti e lacrime salate.
Dall’ultima fila del palco esce ancora la zanzara Tripoli, maracas agitate da polsi nervosi e il pallone scagliato verso la gabbia ospite è intercettato nel corso dell’azione più eclatante della contesa dal portiere in posa poco tecnica. Si va alla pausa dove gli strumenti rifiatano nell’attesa del tenore Neto, oggi uomo normale e non all’altezza del palcoscenico scaligero.
Sannino ritiene che non sia il caso di scuoterne ulteriormente le fila, facendo prevalere l’armonia e così ci si emoziona per lo stop dato dall’arbitro che, bontà per noi, ferma l’Ascoli nel corso di un rapido contropiede, frapponendosi nella manovra e bloccando la sfera, fino a lì più biancorossa che mai. A Zappino resta il piacere di suonare il triangolo con le sue mani poco galanti con i padroni di casa e benedette sotto il Sacro Monte; Zecchin da il là e altre note con i lanci per la zucca di Tripoli, opera non sua visto il risultato finale e la nota stonata rimane sui piedi di Cellini, incapace di smentirsi e sul cui tiro a lato, purtroppo si spegne la sonata in minore di un Varese che sembra opera inconclusa poiché il suo direttore d’orchestra aspetta di innervare con un pizzico d’improvvisazione una compagine che ci farà godere nei prossimi mesi.

sabato 20 novembre 2010

La mano sull'interruttore

L’amore per questa squadra sta trovando il suo Cupido, che con i dardi colpisce i cuori dei tifosi, un po’ meno i loro portafogli visti i larghi vuoti sugli spalti, e si spegne la luce per i brindisini ritornati dopo un Ventennio (non quello nero) a calcare il miglior palcoscenico auspicabile. La corrente è alternata per i varesini nei primi minuti; si sale sull’ottovolante delle conclusioni da tre, finora toccasana decisivo per gli uomini di Recalcati nelle loro vittorie in rimonta.
I nostri palloni si appoggiano al ferro languidamente e Lang sembra un pivot fenomenale, una torre d’avorio nella Babele dell’area colorata. Chiudere sotto il primo quarto preoccupa più il pubblico che non il motore diesel di certi giocatori d’annata, avvezzi a riscaldarsi con l’avanzamento del cronometro.
Thomas prende a forare la retina avversaria con Kangur che sembra camminare sulle uova causa i dolori recenti e Slay inizia il suo lavoro da giardiniere di piante di alto fusto, sradicando palloni con energia e aggiungi la zona a effetto ritardato nella quale le maglie bianche arrivano con un benefico ritardo per lo score casalingo; le bandiere biancorosse sventolano nell’aria calda dell’oasi di Masnago e gli americani di Brindisi preferiscono abbeverarsi alla fonte parcheggiando i loro cammelli: Diawara, uomo del passato in NBA, appare trapassato dalla presenza di Kangur che lo lascia ai margini del gioco mentre l’ex trevigiano Dixon ci ricorda il triste messicano al momento di svegliarsi dalla siesta.
Si rivede Cotani, novello Enrico Toti che abbandona le stampelle per calcare il terreno e lasciare un marchio indelebile con un appoggio errato che ci fa rizzare i capelli.
L’arrivo a metà del cammino non ci rincuora, sembra che anche stasera il fiatone salirà dal basso ventre per ingolfare arterie e cuore e lasciarci basiti di fronte agli ultimi secondi di gioco. Ma stavolta i contendenti hanno titoli decisamente inferiori e appena la Dea Bendata fa calare la sua attenzione verso le percentuali di realizzazione, Varese stringe i cordoni della borsa nulla entra, neppure uno spillo mentre il buon Thomas imperterrito fa scintillare la retina sotto la Gradinata Sud.
Si crea un divario, muro difficile da scalare per le residue forza pugliesi con una panchina corta come la saggezza in un sanatorio e si punta a un finale leggero per Varese, evento raro da queste parti dagli anni post – Magnano. Le profezie del Pampa sembrano irreali e procurate dall’euforia anestetizzante, ma la partita è finita e andate in pace, gi americani di Brindisi si guardano in faccia e puntano al loro tabellino, egoisti causa la povertà della squadra.
Recalcati può rilassare e distendere le briglia, l’età avanzata dei suoi ed i malanni settimanali rallentano l’andatura in maniera intelligente. Si parcheggiano le emozioni e si estraggono colpi di classe e azioni innovative, giochi a due e passaggi in rapidità come il volo delle rondini a primavera.
Gloria anche per Mian e Antonelli negli ultimi istanti, ma più per gli applausi a Speedy Gonzales Goss, ispirato come in una notte di luna piena e la notte cala per Brindisi, lunga e senza possibilità di vederne la fine.
Varese è in gloria, sugli scudi i suoi gladiatori, uomini e magliette sono una cosa unica.

giovedì 18 novembre 2010

Volere Volare

Giove s’incupisce ma ci risparmia fredda acqua, lasciando il Permaflex di Masnago morbido per le scorribande sulle corsie laterali dei baldi varesini, mossi da bimotori leggeri come Zecchin e Tripoli mentre alle loro spalle i trattori armati Pisano e Pugliese, la P2 preferita dal Pampa, si muove nel sottobosco difensivo, avanzando con la massima potenza appena arriva il segnale del capopattuglia Sannino. Dopo la trasferta maremmana in cui lo Zappino Furioso ha mostrato gli artigli per non farsi azzannare dal cinghiale grossetano, lasciando in mano ai toscani solo il pelo ispido dello scalpo mancato, il Varese vuole rompere la rete piastrellata del Sassuolo, posando punti pesanti sul manto della classifica e riprendendo il rapporto di parità con il suo amato pubblico.
La gente arriva temeraria sugli spalti, forse timorosa di aver sprecato un pomeriggio poiché gli ultimi saranno i primi e gli emiliani di mollare il piatto di lenticchie non ne hanno davvero voglia.
Ancora una volta si punta a imbrigliare la trama sulle fasce poiché Neto al centro appena sente la fisicità altrui appoggiarsi al suo dorso, teme di perdere la saldezza dei nervi e nulla di più comodo è per lui appoggiarsi sull’erba per rilassarsi comodamente. Cellini al tempo stesso si perde da solo come Pollicino e le molliche di pane gli servono per trovare la via della porta, smarrita come la fede per un ateo.
Santo Sannino gliela indica a gran voce, chiedendo ai discepoli di tracciargli la strada retta, persa dal giovane Marco dall’inizio dell’anno. La fiducia del pubblico di Masnago è incrollabile e per lui i cori sono invocanti una preghiera, sperando nell’Amen quotidiano che lo possa assolvere.
Di testa in tuffo Cellini la prende e ovviamente la indirizza fra le braccia di Bressan, portiere di serie, ma il fischio arbitrale aveva fermato il gioco.
La temperatura giusta e poi l’umidità fa balzare la zanzara Tripoli, sempre pungente e ripresasi dopo essersi assopita nell’ultima settimana; inoltre l’aiuto arriva dalla difesa ospite che gli regala un pallone con il quale destreggiarsi sul limite dell’area destra e sul traversone filante il nove biancorosso nella più classica delle estirada duplica il suo bottino annuale per la sollevazione dei tifosi di casa.
Ora inizia lo spettacolo come se la puntura avesse colpito più i propri compagni di squadra, offesi dal fatto che il più piccolo di loro sia stato ispiratore del divertimento.
Da notare che l’altro insetto varesino Zecchin, ripresosi la camiseta da titolare, ispira con i suoi goniometrici lanci le punte e così è nella seconda frazione, nella quale dopo una triangolazione con Cellini, Tripoli affetta la difesa ospite varcando il cancello in un paio di occasioni; la prima conclusione vede le stelle, la seconda fa vedere i sorci verdi (come la maglia) al Sassuolo perché il 77 infila Bressan e con esso compare nella classifica marcatori, gioia meritata per la guizzante ala.
Allora incomincia una battaglia con la porta ospite, tutti all’arrembaggio per non essere da meno (negli errori – orrori), a chi la spara più alta (Cellini) o a chi fa cilecca (Neto); così si tiene in vita un Sassuolo moribondo che si risveglia dalla fossa comune con una traversa sonante e sulla prima dormita difensiva infila dopo ben sei partite Zappino.
Questo evento aiuta la farmacia vicina allo stadio, cardiotonici per tutti per superare la tensione improvvisa, ma anche stavolta i giovani varesini fanno calare il sipario da protagonisti vincenti e si sale sempre di più…..

martedì 9 novembre 2010

Un Muro scivoloso

Grinta e determinazione vorrebbe la regola del non c’è due senza tre e completare le sfide del triveneto con un bel successo è ciò che si aspettano alle 15.00 i tifosi giunti non numerosi per un importante testa – coda. Quando sale l’orgoglio e si fa superbia, diventa normale bofonchiare nel momento in cui non si raggiunge la porta avversaria in pochi passaggi. I veneti sono ben schierati e nonostante la storia del luogo che porta in dote il catenaccio del Paron Rocco, non alzano la linea Maginot davanti a Villanova e lasciano le trame fino ai venti metri, quando la luce degli esterni varesini si spegne, lasciando Neto e Cellini senza il rifornimento adeguato.
Le formiche del centrocampo non sembrano essere in grado di portare cibo sufficiente all’ape regina Neto, capace di trasformare qualunque cosa in nettare dolcissimo per il palato varesino. Il lavoro là in mezzo si fa arduo, passare fra le gambe numerose padovane, un lombrico enorme che si distende per tutta la larghezza del terreno: la zanzara non trova modo di urtare la sua pelle e viene agilmente rimbalzato indietro e Pugliese ferma le sue corse a trenta metri dall’area, vero cubo di Rubik per l’attacco varesino che nelle ultime giornate sembra aver trovato gli agganci giusti fra i reparti.
Scorrendo sull’asta del tempo, i minuti assopiscono il tifo di casa fino a quando un cross dal fondo vede Neto cristallino catapultarsi sulla sfera, sprizzata solo a lato del palo. Si ribalta la situazione e sul fronte difesa tocca a Pesoli gettare il suo corpo contro il pallone, padre per la seconda volta poche ore prima e già reattivo nonostante il sonno da smaltire. Alla pausa i pensieri scorrono nel cielo ancora luminoso di Masnago, mai terra di conquista da due anni a questa parte e Sannino, temerario condottiero, sembra non trovare il pungiglione adatto per sgonfiare la mongolfiera del Cittadella.
Così la ripresa ha inizio senza batter ciglio con i medesimi protagonisti a calpestare il campo di battaglia quando i veneti cominciano a sbattere le gambe sui piedi fatati delle ali, fermandone le iniziative con le brutte maniere e la giacchetta nera inizia a cercare nel suo taschino le armi per fermare gli impulsi bestiali.
Nasce così la punizione di Buzzegoli che il guardiano ospite smanaccia poco oltre la barra superiore, un missile diretto verso la segnatura. Oppure la paura fa nove (Cellini), che appoggia per l’accorrente Tripoli nel suo ultimo sussulto di giornata. Ma la parata salva il muro e fa salire grida di dispiacere; da qui in avanti il Cittadella approfitterà di ogni scusa per prolungare il riposo durante la battaglia, scimmiottando i migliori teatranti e Sannino rivoluzionerà la squadra inserendo baby Mustacchio, il toro Eusepi e da ultimo il buon ciccio Corti, con l’intento di movimentare i balli nel sambodromo.
Ogni tanto anche Zappino alza le sue mani verso tini insidiosi o appoggi verso la porta e fa partire i biancorossi con rilanci veloci, Massimo voto per lui e conferma nel posto di estremo, nota decisamente positiva per il pubblico.
La linea verde del Varese spera di essere stavolta risolutrice della situazione, ma la tensione in Mustacchio per la presenza del CT Ferrara gli fa mancare la terra da sotto i piedi e le sue volate sulla fascia lasciano solo amaro in bocca a lui e ai compagni mentre Eusepi gradirebbe una spalla su cui appoggiare i palloni trattenuti con forza ma incontra la giornata peggiore di Neto, solitario sulla spiaggia di Copacabana.
E dare sette minuti di recupero allenta la tensione e ritarda il the delle cinque, portando i pensieri negativi che per un sabato ci fanno tornare alla normalità.

martedì 2 novembre 2010

Attacco al Potere

Ci vuole la sfacciataggine di Bruce Willis che mostrò nella pellicola omonima per confrontarsi con i mostri fatti pelle e muscoli dei senesi. Il panforte è duro da digerire se ogni volta si pensa al tabellone che accumula punti (i loro) e il divario si aggrava. Solo rastrellando senza pietà, perdon randellando, le mani dei frombolieri senesi si mantiene la partita in vita e le speranze di un successo si dissolvono solo lentamente.
Così il maestro pensa di bacchettare l’allievo, quel ragazzo sempre seduto in prima fila a prendere appunti e quando alza la mano per porre una domanda, tenta di mostrare la sua conoscenza oscurando l’autorità.
Recalcati di esperienza ne ha, a volta è dovuto soccombere come contro Magnano e i suoi campioni, altre ha dato soddisfazioni lavorando sul gruppo. E studiando la sua squadra, attua un piano rischioso, battaglia da subito, nessuna pietà per i prigionieri e ognuno ai propri posti.
L’arena si trasforma in un luogo ostico per il toro senese, diventa un palio dove i fantini varesini assaltano alla giugulare il mostro Rapovic, essere deforme più simile all’orco delle fiabe o il lungo Lavrinovic i cui tentacoli sparano inchiostro rosso sulle braccia di Galanda o Fajardo.
La contraerea varesina propone Kangur, caldo esemplare uscito dai boschi come un elfo e Thomas, fauno leggero che nella retina rimane incastrato talvolta mentre Goss preferisce solleticare da sottoterra come una termite lavoratrice.
Ranniko, abituato agli alti fusti della tundra, a passi brevi raggiunge le postazioni, smistando con ordine scandinavo le munizioni mentre Slay impacciato si fa cogliere facilmente in tana. Serve a illudersi la fuga in avanti alla fine dei due quarti iniziali, seppure la battaglia abbia infuriato e i nostri abbiano saputo fare il meglio possibile. Poi quando vengono abbattuti i rovi e la bassa vegetazione, emergono i corpi varesini, facile preda dei senesi, sempre affamati di razziare i campi esterni.
Ma l’orso Slay, uscendo dal letargo, s’inerpica sulle rocce con la sua stazza, gli avversari diventano appoggi per il suo corpo che sale alto, afferrando tutto ciò che dal canestro scende come bacche gustose. Ed il maestro Recalcati si ciberà da lì in avanti delle pillole preziose di Ron, dopo averlo scosso lasciando che la fame lo assalisse per molti minuti. Ecco quindi che al galoppo Thomas abbraccerà il canestro, bucandolo con ogni dardo velenoso mentre Fajardo raccoglierà legna sudando in silenzio.
Recuperare otto punti in pochi minuti esalta la folla varesina, mai sazia di assaggiare la carne succulenta della chianina toscana e il plantigrado del Tennessee, sull’ultima bacca, afferra la bestia; il primo affondo va a vuoto, ma sul secondo le unghie entrano e levando la pelle irsuta, la bocca può cibarsi e con sé gli appetiti dei commensali di Masnago trovano degnamente la tavola imbandita.

Prese di posizione

Reduci entrambe le compagini dalle fatiche con alterne fortune della Coppa Italia, le squadre biancorosse si affrontano al Menti per stabilire i ruoli nei propri campionati. Distanti fra di loro per due maledetti punti a favore dei veneti, le due compagini sembrano avere un destino già scritto prima del calcio d’inizio: Vicenza super imbattuto in casa, vero e proprio fortino mentre il Varese soffre a viaggiare lontano da Masnago.
La Serie cadetta ci offre sorprese vedendo la classifica ed i giovani di Sannino, volubili come il baccalà quando tenta di svincolarsi dal pescatore, mostrano abilità tecniche ed un po’ meno tattiche quando scendono sul prato a dimostrazione di quanto il loro tecnico debba essere più domatore che addestratore.
Alla corsa delle bighe Carrozza arriverebbe sempre primo, ed invece di farsi trainare dai cavalli, porterebbe avanti a sé una sfera di cuoio, di cui liberarsi solo nella rete avversaria, come ben fa già al 7°, numero amico come la sua maglia. Involatosi sulla sinistra, la sua bordata percorre tutto l’arco per finire dentro il palo opposto. Curva in festa quando il Varese va in vantaggio e neanche il tempo per i saltelli propiziatori c’è stato.
A saltare solo Sannino rimane, grillo sempiterno a gracchiare nelle orecchie dei suoi ragazzi scalpitanti, mossi dal cuore combattente e con poco ossigeno, sempre avanzanti verso l’area avversaria in cerca di emozioni forti. Quelle emozioni che ci regalano i lanci trasversali di Carrozza o le percussioni sonanti di Tripoli, a cui Neto o Cellini tocca il compito di portare a degna conclusione.
Ed il Vicenza lascia tutto in mano ad Abbruscato, il quale ingaggia una battaglia sul filo del rasoio con Zappino, esterno varesino da ora in avanti protagonista in positivo per le fortune degli uomini di Rosati. Di piede, di pugno, di mano, ogni tentacolo si allunga verso i fendenti e Goldrake allontana ogni volta, trovando sempre più conferma nell’undici del mister.
La dietro, si dirà, Pesoli appare un poco sotto la soglia di gradimento, ma il portiere serve a quello, a fermare gli indesiderati, a filtrare gli ingressi come un funzionario di dogana agli sbarchi. Dogana che in apertura di seconda frazione il brasileiro Neto tenta di varcare se non Frison cerbero lo travolge mandandolo a terra, luogo gradito assai dal cristallino Pereira per le sue fasi di rilassamento durante la gara.
Tanto è che assiste sdraiato all’errore del capitano Buzzegoli, tiraccio moscio che incoccia lo scarpino del guardiano vicentino. E manca ancora tutto il secondo tempo, così Zappino può mostrare la sua pelata sorridente e rabbiosa agli avanti veneti, mentre in contropiede Neto e Mustacchio avanzano veloci, quasi a sfidarsi in una gara di velocità.
Alla fine anche Frison vuole essere della festa, ma il fortino biancorosso nulla lascia trapelare ed il centrocampo può imbrigliare la manovra offensiva alzando l’oscurità sugli ultimi tentativi, stavolta si passa, Vicenza cade e Sannino respira.