Due cubetti di ghiaccio

Da questa settimana fino al limitare delle sue forze la voce della Pampa disporrà di una rubrica fissa nella quale con ironia ed un po’ di pepe commenterà le prestazioni sportive delle compagini varesine. Il titolo nasce dalla fervida fantasia del gaucho che, al calar della sera, è solito metter del ghiaccio in un bicchiere e gustarsi un tonico ed analizzare con sagacia le prestazioni sportive delle squadre prealpine. Il nome potrebbe far pensare ad articoli di facile lettura, in realtà il ghiaccio sciogliendosi nel tonico e cambiando lo stato , diventa di difficile separazione visiva rispetto alla sostanza iniziale…..

martedì 13 dicembre 2016

Le campane tibetane

Tale era la foschia che fuori ammantava il tetto del Palazzo di Masnago in quella domenica che doveva riconciliare: attese potevan essere vane, un transfert che non può arrivare non può cambiare il giudizio ma spostare solo le attenzioni su tale burocrazia di cui si ignorano le regole.
E dal tetto in quel venerdì antecedente la disfida calda con la Reggio ormai potente, una colomba bianca annunciava serenità a suo dispetto. E se tale non volle volar via ad ogni minimo tentativo, portava sul legno la serenità.

Messaggio che potrà essere letto solo alle 22.30 circa di domenica, dopo che i prodieri si siano erti sulla prua ad ogni piè sospinto, non frenando e non franando di fronte al possibile iceberg emiliano.
Se si parte forte è perché gli uomini son pronti a darsele come nelle stive per menare carbone, a Cervi risponde pronto Anosike per saggiare la durezza del ferro da cui poi saprà trarre preziosi spicchi arancioni.
Non si respira, di qua e di là. La classifica conta poco se paragonata ai galloni di cui qualcuno vedi Maynor può fregiarsi nonostante gli i residui acciacchi cerchino di minarne le abilità. E Moretti ordina la difesa mischiata, che ben confonde le acque in cui tenta di remare la barca del buon Menetti che vorrebbe togliersi di dosso la polvere degli scudetti che si visto scivolare via quando ne sentiva il peso dell’onore.

Reman tutti nella stessa direzione si dirà, quando le offese gratuite fino poco prima volavano nelle orecchie e se le sirene sono ora rosse di vergogna, tale è il vanto di 10 combattenti che non mollan pallone se non perché graffiato dai rivali. Eyenga vola da quella savana di braccia, togliendosi liane di dosso ed assaggiando l’aere per un pubblico estasiato dai suoi numeri circensi. La parità non pare essere di giornata, dato il vantaggio di Varese a metà dell’opera: cinque punti paion pochi per alcune imprudenze, ma nessun regala nulla a questo mondo e scartare i regali è ancora impresa sebbene il Natale incomba.

La ripresa esalta ancor più la confusione, tanto che nelle volate di qua e di là si contano gli errori sgrammaticati e non le imprese, fino a che l’onesto Aradori prende per mano i (suoi) ragazzi e fionda dardi pesanti che tengono i suoi attaccati alle tende varesine. Rumori sinistri paion prossimi alle orecchie dei casalinghi, aiutati dai grigi che volteggiano con intenzioni candide di lasciare spazio alla corrida. E Kangur che di freddo se ne intende, estrae dalla fondina il canestro di Squadra. Si avanza verso i due minuti finali che paiono giocare a tirare verso l’overtime, temendo noi le ansietà di un successo che manca dall’ottobre scorso.

Fischi per fiaschi fan sollevare i calici di Varese, si torna ad assaggiare miele, è il tempo non delle promesse ma dell’amore per chi si segue.



lunedì 10 ottobre 2016

La coda del coniglio

Si alza la tapparella della stagione di Varese nella sua casa gloriosa e splende il sole fuori dal vetro perché le piccoli nubi all'orizzonte che si intravedono sono solo istantanee di un giorno piovoso.

Pronti e si parte con un leggero vantaggio esterno che è solo un refolo ed in un minuto il panettiere inforna per il lungo Eyenga che passa dalla foresta alla montagne per compiere uno slalom speciale visto come si insinua a fianco dei paletti casertani che possono solo cadere per farlo inforcare.
Ed il fresco Anosike si rimbocca i calzari romani e da legionario esegue e cattura le pere cotte che cadono dai cristalli. Il vantaggio rimane in cifra singola, sufficiente per una tranquillità nella lettura del tabellone ed i gomiti che mulinano nelle zone pitturate esaltano il duo torreggiante varesino perché Pelle non lascia nulla d’intentato e le ciliegie le va a raccogliere come preziosi frutti.

Quando si chiude il primo quarto la lettura del segno meno fa pensare allo scorso autunno, ma stavolta l’acqua non è ancora bollita e seppure qualche pixel faccia apparire confuso il messaggio, ben presto i colori biancorossi si stendono come una sfoglia leggera.
Esuberante è il modo ed il sugo lo mette il buon Maynor a cui piace tagliare a fette sottili fornendo ai confratelli palloni facili da trasformare in due punti.

La metà è fatta seppure qualche dubbio si stagli all’orizzonte frutto di ricerche di quadrature del cerchio per chiuder la faccenda in fretta. Lottare per ogni pallone, è il credo ed i ragazzi si sbucciano nella savana, sudando ed aggiungendo un sassolino per volta nella teca.
Poi sale l’intensità ed il battito animale direbbe una nota canzone, lo spettacolo deve andare avanti, seppure non ne risenta perché Varese gioca con la coda tirandola e lasciandola, ed ogni qualvolta i polmoni casertani si riempiono d’aria che li manda in over.

Le gambe si piegano ed i campani si incartano con le mani di Sosa che vuol prendere dalla sua tasca i ricordi di quando 40 e più ne fece anni addietro con Sassari. Il presente è assai diverso poiché i bianconeri sono comparse che devono tenere loro malgrado il palcoscenico.

Solo qualche amnesia fa perdere la coda del coniglio dalle mani di chi sale in giostra. Sui cavalli ci si alza come Pelle, che ferisce le mani avversarie ad ogni scheggia che arriva nel tentativo di sporcare il canestro. Il punteggio sale ed ardue diventano le speranze degli ospiti. Quasi il ventello che chiude la disfida in piena esaltazione. E fra sette giorni il derby di Milano sarà termometro.

venerdì 20 giugno 2014

Il passaggio

L'orologio del mondo arriva senza fusi orari. Cadiamo in piedi quando gli altri lo desiderano, solo le scarpe non possiamo scegliere prima.

giovedì 30 gennaio 2014

Quando a Toronto gli Huskies giocavano a basket


Il primo novembre 1946 è un giorno storico per lo sport del basket americano. Più precisamente in terra canadese, in casa dei Toronto Huskies, si disputa il primo incontro della lega allora denominata BAA, che sarà poi l'embrione dell'attuale NBA. Contro i padroni di casa scendono in campo i New York Knicks sul parquet del Maple Leaf Gardens, casa della compagine di hockey di Toronto e davanti a ben 7090 spettatori, come recitano le cronache dell'epoca. Quella sera chiunque si fosse presentato all'ingresso più alto di George Nostrand, il gigante del team canadese, sarebbe entrato  gratuitamente. La vittoria arrise agli ospiti, dopo che Toronto si era guadagnato il vantaggio fino allo scoccare degli ultimi tre minuti quando i Knicks erano riusciti a ribaltare definitivamente le sorti del match. Da li in avanti la stagione degli Huskies sarebbe stata tutta in salita. Le sconfitte in sequenze ed i debiti che continuarono ad accumularsi costrinsero la dirigenza ad inventarsi qualcosa.

Heyman così provò in tutti i modi ad attrarre i tifosi a venire al palazzo. Grandi pubblicità sui giornali locali, distribuzioni di libri che parlavano del regolamento del gioco, giochi a premio durante le partite, pre partita con incontri fra le squadre delle scuole della città, insomma tutta una serie di iniziative che cercarono di far esplodere la passione del basket in una zona che da sempre vedeva nell'hockey su ghiaccio l'unico sport di squadra che meritasse rispetto. Il fondo fu toccato quando una partita contro Providence registrò sulle tribune appena 500 spettatori.
Nemmeno una piccola striscia vincente nel corso di una stagione fu sufficiente per dare un pò di ossigeno ed il club terminò con un deludente bilancio di 22 vittorie- 38 sconfitte, tanto da etichettarla senza dubbi come una stagione disastrosa. Le promesse della dirigenza di rimanere a Toronto non furono sufficienti: a completare il disastro ci fu una perdita registrata di $215,000 ed una media spettatori di poco sopra le 2000 unità .

Ad un incontro ufficiale della lega, il 27 luglio 1947, la proprietà annunciò la chiusura dei giochi. A metà agosto Perlove, quasi come in un annuncio funebre , dichiarò che "gli Huskies sono un bambino malato alla nascita" e che non vi erano speranze di successo in una località dove i fans si contavano sulle dita di una mano.



Seasons: 1; 1946-47 to 1946-47
Record: 22-38, .367 W-L%

Playoff Appearances: 0
Championships: 0

venerdì 17 gennaio 2014

Go, una mascotte da Hall of Fame



Undici anni erano trascorsi da quando i Phoenix Suns avevano fatto il loro ingresso nello spettacolare mondo della NBA e nessuna mascotte li aveva ancora accompagnati nelle arene degli Stati Uniti. A dir la verità avevano provato ad adottare una margherita, per simboleggiare il caldo dell’Arizona, ma il tentativo non era andato a buon fine, forse troppo buonista per una squadra che doveva conquistare terreno nella pallacanestro targata USA. Poi un giorno d’inverno del 1980 arrivò un telegramma cantato (singing telegram) , tradizione tipicamente anglosassone che consiste nell’inviare una persona che canti per voi una canzone alla vostra amata, ed ordinato da  James Oberhaus, un accanito fan dei Suns. All’Arena si presentò un certo Henry Rojas, vestito da gorilla che, per ordine della Eastern Onion Telegram, entrò nel palazzo per assistere all’incontro. La sicurezza non intralciò il tentativo simpatico di sostenere quella giovane ed orfana squadra dell’Arizona ed anzi invitò il Gorilla a partecipare attivamente alle pause di gioco. E così fece fino a quando l’organizzazione della squadra non chiese a questo tal Rojas di diventare la mascotte ufficiale.
Da quel momento lo scimmione, soprannominato Go, sarebbe diventato l’attrazione principale delle partite, utile ad intrattenere il pubblico con le sue gags con il sottofondo musicale del film Rocky ed effettuare la sua abituale schiacciata prima di tutti gli ultimi quarti tempi di partita. Uno show che rimase nella storia fu quando entrò nel Madison Square Garden sulle note di “New York, New York” di Frank Sinatra, con un cappello in testa e con addosso numerosi pezzi di carta sul vestito.
Henry Rojas, con ben 15 anni di presenza, è iscritto di diritto nella storia americana per essere stata la prima mascotte commediante nello sport professionistico: le sue leggendarie parodie di tifosi, giocatori, allenatori ed arbitri lo videro meritarsi per due volte la presenza all'All Star Game ed il rispetto degli addetti ai lavori. Con il suo modo da consumato attore, il tempismo e la sua presenza sul palcoscenico si è conquistato anche il rispetto delle altre squadre poiché per Rojas iniziò una carriera che lo vide partecipare ad eventi anche di squadre che non fossero i Suns. Da li l'ingresso nella Hall of Fame nel 2005 fu il giusto premio per uno spettacolo che non faceva altro che rendere più umano il basket e le sue interazioni con gli arbitri furono semplicemente fantastiche.
Anche l’Italia ebbe modo di conoscere Go, quando in un primordiale torneo Open, anticipatore di quello che poi si sarebbe chiamato molti anni più tardi Mc Donald’s Open, due squadre americane vennero invitate a partecipare ad un competizione amichevole pre campionato a cui presero parte appunto i Suns, i New Jersey Nets e la triade italica Ciaocrem Varese, Granarolo Bologna e Simac Milano. La sera del 5 settembre 1984 la mascotte seppe stupire il palazzetto di Masnago con i suoi numeri, distraendo così il pubblico venuto ad assistere a quello che era uno spettacolo sui 28 metri per 15 per le stelle americane presenti, che fino a quel momento si potevano vedere solo sugli schermi di Canale 5 la domenica mattina.
Rappresenta sicuramente il leader delle mascotte del mondo a stelle e strisce targato NBA: uno scimmione volante della giungla che sopra le teste degli spettatori delle arene sa entusiasmare con le sue super schiacciate. Ormai un ambasciatore vero e proprio di ciò che vuole essere la pallacanestro americana. Molteplici sono i paesi in cui il Gorilla si è esibito nel corso degli anni: Argentina, Australia, Canada, Cina, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Hong Kong, Messico, Olanda, Norvegia, Spagna, Svizzera e Gran Bretagna, oltre ad aver sconfinato anche in palazzetti durante incontri di baseball o hockey.
Andato in pensione Rojas, a partire dal 1988, Bob Woolf gli subentrò nell'incarico di Gorilla dei Suns e portò avanti le sue perfomances fino al 2006. Poi gli successe dal 2006 al 2012, Devin Nelson. Nell’estate del 2012 vi fu un bando di concorso istituito dai Suns per assegnare il ruolo di Go; queste erano le abilità o caratteristiche richieste dall'organizzazione: Essere un attore di classe e ambasciatore per l'organizzazione dei Phoenix Suns sul terreno di gioco e durante gli eventi ufficiali (incontri per beneficenza presso ospedali, scuole,etc). Continuare con la tradizione del Gorilla "Go" di far ridere le persone, lasciare loro l'ultima impressione positiva e rappresentare il team con orgoglio e passione. E' un lavoro a tempo pieno, pagato e la sua posizione fa riferimento al nostro Vice Presidente, Game Entertainment.

Di lui hanno detto:
"Non c'è mai stato nessuno come l'originale gorilla" - Brent Musberger, telecronista
"Go è semplicemente il migliore!" Darryl Dawkins
"Il miglior intrattenitore nello sport" - Tommy Nunez, arbitro NBA


sabato 11 gennaio 2014

La presenza

Essere-avere un' eterna sfida fra due modi che ci porta spesso ad una lotta interna giorno dopo giorno, per assecondare il desiderio che sale e scende fra i due contendenti. E ciò che non dominiamo è talvolta solo la forza di una delle due, perché soffriamo nel farci travalicare da qualunque sia delle due parti. E a temere la vittoria o la sconfitta non sono io, grazie al tuo Amore che non mi avvolge ma mi fortifica, lasciandomi respirare durante quel cammino che sarà la Vita assieme a Te.