I grattacieli contro le villette unifamiliari, i dioscuri greci contro la mobilità fisica europea, l’uomo immagine contro la signorilità, torna la sfida d’alto livello Varese contro Milano, partita negli ultimi anni che ha i visto i varesini vincitori in casa e sconfitti in maniera diversa sul terreno meneghino. Oggi siamo in casa ed il pubblico riempie i vecchi gradoni del Lino Oldrini, oggi comodi seggiolini per un basket che non necessita di arene moderne, ma di calore e fiato sui colli degli avversari. Così sembra oggi fin dalle prime battute, nelle quali il tiro da lunga distanza ci fa sopravanzare in maniera agevole gli uomini di Armani, in striscia pesantemente negativa da un mese circa e che sperano nel derby prealpino di rifare la bocca alla vittoria.
Ma dalle labbra dei varesini scende solo tanta bava,quella che deriva dai morsi alla bestia enorme che non fa paura se viene aggredita. E Diawara di fame ne ha tante, affondare nel canestro ospite lo esalta ed insieme a lui tutto il pubblico di casa mentre i tifosi avversari giungono a mo di protesta, quasi più contenti se anche oggi l’amaro calice venisse bevuto fino al’ultima goccia. Ma la terna grigia, di nome e di fatto permette i riaggancio ad una Milano che se non avesse la sfrontatezza inelegante di Rocca sarebbe già sotto coperta, cos’ tanto in tema in queste settimane. Il marine semi-italiano non è un campione di tecnica, ma di coraggio ne ha da vendere e nell’affrontare l’orso estone Talts le mani diventano armi pesanti da usare per riagganciarsi alla maniglia. Il nuovo arrivato di maniglie se ne intende, avendo appena posato quella della valigia proveniente dalla lontana Polonia e fresco e guizzante dribbla come i finanzieri per uno spallone i difensori meneghini, solo la sfortuna lo vede premiato in un’occasione, ma quanto a coraggio e sfrontatezza non teme confronti con l’imberbe ed ormai ex giocatore sotto le montagne Hurtt, ormai destinato ad usare il binocolo per assaggiare il campo 28 x 14 e più propenso a passare borracce o ascoltare parole per lui vuote di significato da coach Recalcati.
Toglie i cerotti pure il finnico Ranniko, con le sue ginocchia cagionevoli ma necessariamente abili, e l’orgoglio di Fajardo, ormai stanco da mille battaglie ma pronto a stillare ancora una goccia di sudore in più per la squadra ed i compagni e arrivare alla pausa in quasi equilibrio potrebbe essere l’ultimo momento di felicità. Per chi non si sa, perché alla ripresa Varese piega le ginocchia in maniera completa, solo 4 i punti saranno quelli segnati da Milano, gli arbitri cominciano a concedere qualunque cosa ed i varesini, intuendolo, cominciano a graffiare ed affondare i denti nelle carni tenue. Le lacrime poi le fa sgorgare quell’atleta splendido che è Diawara, a cui appendersi è facile, ma solo per lasciare i capelli ed aggiungere penalità sul tabellone dei falli. Solo la mira da oltre l’arco dei milanesi permette di tenere aperta una partita che sotto l’aspetto caratteriale è segnata. Il Palazzo canta vecchi cori , d’antan, così come le facce di Scariolo e soci, vecchi ed abituati alla batosta. Varese alza le mani e gli occhi agli stendardi sul soffitto, un’altra medaglia è appesa al petto e cominciamo a divertirci. A presto.
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